CLAUDIO
Cronaca

Tac, bronchiti e il dottor Purgone della mia infanzia

L'autore riflette sulle sue esperienze con le malattie respiratorie, dalla sua infanzia fino ad oggi, e sulle sensazioni provate durante una recente TAC.

Negri

Tossisci... respira... non respirare... tossisci. I miei polmoni, giorni fa, hanno passato la dogana della Tac. Una cosa rapida, davvero. Mi sono visto nella vecchia gag di Renato Pozzetto, in variante sanitaria (“Qui c’è il letto estraibile. Taaaac. Qui il cucinino. Taaac. Qui lo stereo. Taaac. Qui la Tac. Taaac!) ma la memoria del mio apparato respiratorio pescava già nel profondo più fondo. I polmoni non ricevevano tali e squisite attenzioni dai giorni dell’infanzia, segnati da bronchiti e febbri terzane e quartane. Posso andare ancora più indietro, che ci crediate o meno: da quando cioè, più di un secolo fa, ero l’ingegnere amburghese Hans Castorp in visita al cugino ricoverato nel sanatorio di Davos. Qualche mese fa, per suggestione d’ambiente consimile, ospite in rinomato istituto fisioterapico brembano, ho atteso invano per giorni che una Claudia Chauchat qualsiasi facesse il suo clamoroso ingresso nel refettorio sbattendo la porta a vetri. Però tossivo, continuavo a tossire e non me n’ero accorto. Sicché una cameriera, con discrezione, me lo aveva fatto notare. Com’è ovvio, avendomelo fatto notare, tossivo sempre più, rosso d’apnea e di imbarazzo. E la Claudia che non si faceva vedere: dietro ai vetri opachi c’erano solo un guazzabuglio di salone, un giardino, un fiume e più in là faggi e poi pini e poi prati in quota e cuspidi calcaree dove il respiro, si spera, sarebbe tornato puro, ampio, aria che disseta. Ma sotto la Tac, la visione della mia orobica Montagna Incantata tornava a cedere il passo al ricordo delle bronchiti infantili. Al medico di famiglia, alle sue frequenti visite a domicilio, al freddo dello stetoscopio sulla mia schiena ignuda. “Tossisci... respira... non respirare... tossisci”. Le medicine scarabocchiate su un foglietto: sciroppi contro la tosse, mucolitico. E un purgante. Sempre un purgante. Troppi purganti. Una volta la nonna volle farglielo notare, buttandola sul ridere: “Lei mi sembra un po’ come il dottor Purgone!”. Il Purgone, che forse aveva letto Moliere, non rise. Anzi, ci restò proprio male. Io invece risi, nel bianco mio lettino. Purgone in sé, anche senza letteratura, faceva ridere. E tossire. Perché non ero un malato immaginario.