Giovani scomparsi nel nulla mentre erano in vacanza. Un processo congelato, che come in un gioco dell’oca stregato resta sempre al punto di partenza. Una ferita che per le loro famiglie si riapre ogni Ferragosto. Sono passati nove anni dal giorno in cui tre sub milanesi furono inghiottiti dal mare durante un’immersione nell’Isola di Sangalaki, nel Borneo, in Indonesia. Si chiamavano Alberto Mastrogiuseppe, di 36 anni, Michela Caresani, che era la sua fidanzata, di 33, e Daniele Buresta, coetaneo del primo. Si è salvata Valeria Baffè, oggi quarantatreenne, che era la fidanzata di Buresta: anziché immergersi, quel giorno – che per il gruppo di amici, tutti sub esperti, sarebbe stato l’ultimo nel Borneo prima del rientro a Milano – aveva preferito praticare snorkeling ammirando il fondale dalla superficie, così come un ragazzo piemontese, tornato a casa. Sparita tra i flutti invece un’altra ragazza, Chris Vanpuyvelde, 29enne belga, che aveva partecipato all’escursione subacquea con il resto della comitiva. Una gita organizzata, coordinata da una guida del posto, che tornò a galla senza il gruppo che avrebbe dovuto proteggere.
“Le sue responsabilità non sono mai state chiarite – commenta oggi Claudia Mastrogiuseppe, sorella di Alberto –. Non solo: il processo, di fatto, non è mai partito, in balìa di un continuo passaggio di competenze. Attraverso i nostri avvocati abbiamo chiesto che il processo avvenisse nella capitale Giacarta, invece al momento tutto resta fermo a Sangalaki, la cittadina in cui è avvenuta la disgrazia. Per noi è peggio, perché a livello locale ci sentiamo meno tutelati. Il clima è sempre stato di difesa verso le persone del posto”.
Le ricerche andarono avanti per giorni, con imbarcazioni ed elicotteri. Scandagliata tutta la costa, passati al setaccio gli isolotti attorno. Ma dei quattro non fu trovato nulla, neppure un boccaglio o una pinna. Inghiottiti nel nulla. E infine dichiarati morti nel 2017.
“A distanza di 9 anni non solo non abbiamo avuto giustizia, non sappiamo neppure la verità”, continua Mastrogiuseppe. “Noi famiglie non abbiamo neppure riavuto i documenti dei ragazzi. I loro passaporti, che erano in albergo, sono stati ritirati dalle autorità locali durante le indagini. A noi familiari non resta che farci forza l’un l’altro. Non sappiamo neppure se abbia senso insistere per spostare il processo a Giacarta perché la lotta è impari”. In onore dei dispersi, però, ogni 15 agosto torna il giorno del ricordo. Anche quest’anno per loro ci sarà una messa a Gattinara, un paese vicino a Vercelli, che Alberto Mastrogiuseppe amava. Il giovane, laureato alla Bocconi, lavorava nel campo del marketing bancario. Michela Caresani in un centro per disabili, mentre Daniele Buresta era un operatore video per il web.
Ma si davano da fare anche per gli altri (la coppia Mastrogiuseppe-Caresani aveva partecipato ad alcune missioni in Africa). In loro onore, le famiglie hanno devoluto le donazioni rimaste sul conto aperto nel 2015 per finanziare le ricerche, per supportare un centro giovanile a Kabwe, nello Zambia, dell’Opera Don Bosco. “Mio fratello, ex allievo salesiano, era legato a questa onlus. Ne sarebbe stato felice”, conclude la sorella di Alberto. Adesso, alla vigilia di Ferragosto, il dolore sul cuore pesa ancora di più.