Strage di piazza Fontana: Valpreda, così nasce la foto del perfetto dinamitardo

Il viaggio a Milano, il riconoscimento del tassista Rolandi e l’arresto lampo. Il ballerino unico in disordine fra agenti in cravatta. E il testimone: "È lui"

La foto segnaletica di Pietro Valpreda

La foto segnaletica di Pietro Valpreda

Milano, 30 ottobre 2019 - Cinquant’anni dopo la strage di Piazza Fontana, con 17 morti e 88 feriti, prosegue la serie di articoli con cui “Il Giorno” intende riannodare i fili di una drammatica stagione  di misteri e sangue che  si legano inevitabilmente  alla tormentata storia politica e sociale di quegli anni.  In questo racconto serviranno da appoggio immagini e articoli che da quel 12 dicembre  il nostro quotidiano ha dedicato a un evento che ha modificato per sempre gli equilibri della vita cittadina  e dell’intero Paese. Il viaggio da Roma a Milano, a bordo della 500 scassata, dura tutta la notte. Quando il ballerino Pietro Valpreda, 35enne fondatore del circolo anarchico romano 22 Marzo (dove in realtà sono più gli infiltrati che i “compagni”), partito dalla capitale arriva in città, è ormai l’alba del 12 dicembre 1969. Una trasferta decisa perché l’indomani, sabato 13, è fissato a Palazzo di giustizia un interrogatorio davanti al giudice Antonio Amati per una storia di volantini con insulti al Papa diffusi dall’anarchico. Valpreda dovrebbe vedere i suoi avvocati, però si sente la febbre, un po’ di influenza. Così resta a letto a casa della zia Rachele per tutto quel fatale pomeriggio del 12 dicembre, mentre nel salone della Banca nazionale dell’Agricoltura qualcuno lascia la bomba che alle 16.37 provocherà 17 morti e quasi 90 feriti. L’anziana donna testimonierà fin dall’inizio che il nipote era in casa sua, garantendogli un alibi senza però essere mai creduta: finirà a processo per falsa testimonianza.

Intanto , dopo l’esplosione devastante nel salone della Banca, mentre la città è sotto choc, l’appuntamento di Valpreda con il giudice Amati slitta al lunedì. Sono le ultime ore da uomo libero per lui. Non può sapere, l’anarchico, che nella notte tra domenica e lunedì a Roma i suoi compagni del “22 marzo“ (in particolare il nazimaoista Mario Merlino), hanno parlato di un deposito di armi gestito proprio da lui. È così che lunedì mattina, quando esce dall’ufficio del giudice dopo l’interrogatorio sui volantini, sotto gli occhi della zia Rachele, Valpreda viene preso in consegna da due agenti in borghese mandati dalla questura di Roma. Giusto il tempo di transitare in via Fatebenefratelli per le formalità di rito e poi il ballerino viene fatto salire in macchina diretto nella capitale, già con il marchio del colpevole appiccicato addosso.

A Milano , sempre quel lunedì mattina, più di centomila persone si riversano in una piazza Duomo stipata all’inverosimile per i funerali delle vittime. E nelle stesse ore un tassista, Cornelio Rolandi, si presenta in una caserma dei carabinieri per mettere a verbale la sua testimonianza. Spiega di aver fatto salire sul suo taxi, il pomeriggio del 12 dicembre circa mezz’ora prima della strage, un uomo che aveva con sé una borsa e si era fatto portare da piazza Beccaria in prossimità di piazza Fontana, in tutto poco più di cento metri. Poi era sceso ma gli aveva chiesto di aspettarlo e qualche minuto più tardi era risalito, ma senza la borsa. Che aspetto aveva quel cliente? In questura, il pomeriggio di quello stesso lunedì 15 dicembre, gli fanno fare un identikit. Poi il questore in persona gli mostra una foto “somigliante”, una sola: quella di Pietro Valpreda.

A quel punto Rolandi è pronto per essere accompagnato a Roma dove il pomeriggio del giorno dopo, martedì 16 dicembre, si procede al riconoscimento ufficiale: Valpreda, stravolto e scarmigliato, è in mezzo ad altri quattro uomini della sua taglia ma pettinati e ben vestiti, visibilmente dei poliziotti. «È lui», dice Rolandi in milanese dopo avergli dato un’occhiata. E il ballerino: «Ma mi hai guardato bene?». Il tassista: «Se non è lui, allora qui non c’è». La frase però non finisce a verbale, Valpreda invece finisce in cella e quella stessa sera di martedì, al telegiornale della sera, il giovane Bruno Vespa in diretta dal Viminale può annunciare sereno: «Pietro Valpreda è il colpevole, uno dei responsabili della strage di Milano». (2-Continua)

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