Stipendio mensile, affitto e bollette: i boschi dell’eroina e i narcos-travet

Blitz della Squadra mobile, smantellata banda di trafficanti. Il denaro in Albania con i bus da Lampugnano

Milano - "Per fine mese gli dirò che da quattro mesi lavoro e ho preso solo duemila. Vediamo quanti soldi mi porta, se mi calcola a tremila euro non mi va bene, sono entrato pure dentro casa a lavorare, in più sto raccogliendo anche i soldi". Lo smercio di eroina come un lavoro a tempo pieno, con tanto di stipendio mensile e spese pagate per affitto dell’appartamento, bollette di luce e gas ("Ho 1.280 euro di fatture... perché mi è arrivato pure il riscaldamento 280... 1.280 sono affitto e fatture...") e pratiche per la regolarizzazione del permesso di soggiorno. Una vera e propria azienda, con denaro in parte da distribuire a chi faceva base a Milano in parte da inviare a Durazzo nel bagagliaio degli autobus in partenza dal terminal di Lampugnano. La "ditta" dei narcos aveva pure una sede, in viale Umbria 22: lì in due tagliavano la "roba", per poi consegnarla in via Lattanzio ai "clienti abituali"; che a loro volta la recapitavano ai pusher-cavallini per inondare l’area tra Rogoredo e San Donato e le zone boschive che ruotano attorno al Parco delle Groane.

Un business che fruttava guadagni faraonici: basti dire che con i 21 chili di "nera" (con principio attivo puro compreso tra 26% e 75%) sequestrati il 3 maggio 2021 a Elvis Kallkaku in zona Calvairate l’organizzazione avrebbe potuto ricavarci più di 300mila dosi. All’alba di ieri, gli agenti della sezione "Criminalità straniera" della Squadra mobile, coordinati dal dirigente Marco Calì e dal funzionario Giovanni Calagna, hanno smantellato quella che pure il gip Daniela Cardamone ha ritenuto essere un’associazione a delinquere con una gerarchia ben definita, ruoli assegnati e rispettati (capo, cassiere, raffinatori, corrieri e fornitori) e mezzi a disposizione (dall’abitazione-covo a due passi da piazzale Lodi alle auto con doppifondi usate per i trasporti): sei tra albanesi e marocchini i destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere (di cui due già dietro le sbarre) finora ammanettati dai poliziotti, mentre ad altri due è stato notificato l’obbligo di presentazione quotidiana alla polizia giudiziaria; per gli altri sette, verosimilmente all’estero, sono stati attivati tutti i canali internazionali per arrivare alla cattura in tempi brevi.

Dal contenuto delle conversazioni intercettate, emerge che alcuni membri della banda erano in attività da anni e che avevano rapporti iper consolidati con alcuni acquirenti, tanto da consentire loro di accumulare debiti a cinque zeri: "Fra, non lasciamo R. senza ancora questa settimana, dividi quella di L., fai 3 a L. e 2,5 o 3 a R., non possiamo abbandonare R. ché lavoriamo da una vita con lui", una delle frasi-chiave. I vertici del gruppo riuscivano ad approvvigionarsi con impressionante regolarità sulla rotta balcanica, avendo contatti diretti con la Turchia: "Se arriva questa che dici tu, come dici tu, distruggiamo tutti...". Del resto, la richiesta era incessante. E la risposta doveva essere pronta, altrimenti c’era il rischio di avvantaggiare qualcun altro e perdere progressivamente quote di mercato.

D’altro canto, bisognava stare attenti a chi comprava e non allargare troppo la cerchia per scongiurare guai e indagini. Un’esigenza che diventava pressante soprattutto quando la Mobile intercettava qualche carico: "Solo con due-tre persone fra, non altri, solo R. e altri due-tre, senza fare casino. Gli altri lo dobbiamo evitare e non deve sapere nessuno di noi. Anche a L. bisogna dire di non parlare con altri che lavoriamo insieme. Poi bisogna cambiare le forme fra, ogni persona deve avere forme diverse, così non parla la gente in giro. Bisogna parlare con quel meccanico, in modo che ci prepari delle forme". Detto questo, i metodi restavano spicci e spietati: "Bisogna dirgli che si aspetta la pallottola da parte nostra se fa degli scherzi".

 

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