Soffiate al clan, assolto ispettore "Fine di un incubo di 7 anni"

Coinvolto in un’inchiesta su narcos legati al superlatitante Messina Denaro. Lo sfogo dopo la sentenza: "Rimasto senza mansioni al lavoro, ora la verità"

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di Andrea Gianni

MILANO

"Per questa vicenda processuale ho sofferto molto. Sono stato soggetto a perquisizioni domiciliari e al lavoro e trasferimenti senza più avere assegnazioni di mansioni di lavoro. Dopo sette anni di indagini e processi, finalmente siamo giunti alla verità dei fatti allontanandomi dall’incubo di essere considerato colpevole per un qualcosa che giammai ho commesso". È lo sfogo di Tommaso Saladino, ispettore della Polizia di Stato, ieri assolto a Milano dall’accusa di essere stato la presunta “talpa“ di narcotrafficanti arrestati nel 2019 in un’inchiesta siciliana e che agivano sotto l’egida di Cosa Nostra e all’ombra del super latitante Matteo Messina Denaro.

L’ispettore che era in servizio al commissariato Comasina, a Milano, è stato assolto da tutte le accuse, in particolare accesso abusivo a sistema informatico e rivelazione di segreto d’ufficio, con la formula "perché il fatto non sussiste". Per lui è, quindi, "la fine di un incubo". La quinta sezione penale della Corte d’Appello di Milano, accogliendo l’impugnazione della difesa, rappresentata dall’avvocato Gabriele Maria Vitiello, ha ribaltato il verdetto di primo grado che aveva condannato il poliziotto a 3 anni e 9 mesi di reclusione. "L’Ispettore Saladino - ha spiegato l’avvocato Vitiello - per 41 anni ha servito lo Stato senza mai incorrere in un procedimento disciplinare né tantomeno penale. E questa assurda vicenda si è definita con una assoluzione. Un processo tra l’altro - ha aggiunto il legale - nato solo per alcune lettere anonime ed indagini interne della Polizia.

Dopo 7 anni di indagini e di processo, viene finalmente restituita all’ispettore la sua dignità personale e professionale, mettendo la parola fine a una storia paradossale fondata su fatti che non ha mai commesso". Fatti, quelli che erano contestati dalla Procura di Milano, che risalivano al 2013 e che riguardavano, secondo l’accusa, "ripetute interrogazioni" alla banca dati ‘SdiWeb’ del Ministero dell’Interno per chiedere informazioni su "soggetti sottoposti a indagine", tra cui Giacomo Tamburello, Nicolò Mistretta e Antonio Messina, in un procedimento "conseguente al sequestro di 240 kg di hashish avvenuto in Paderno Dugnano (...) il 26 maggio 2013". Contestazioni cancellate dai giudici di secondo grado che hanno assolto anche un maresciallo della Gdf che era imputato anche lui per presunta rivelazione di segreto d’ufficio assieme all’ispettore.

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