PAOLO VERRI
Cronaca

Silvia Romano e l’Islam: "Con il velo mi sento libera"

Milano, la volontaria rapita in Kenia racconta per la prima volta la sua conversione sul sito delle associazioni musulmane “La Luce”

Silvia Romano saluta dalla finestra il giorno del suo ritorno, dopo 18 mesi di prigionia

Milano, 7 luglio 2020 - «Per me il mio velo è un simbolo di libertà, perché sento che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima". Silvia “Aisha“ Romano, la volontaria rapita in Kenya il 20 novembre 2018 nel villaggio di Chakama dove operava, e liberata in Somalia il 9 maggio scorso dopo 18 mesi di prigionia, racconta per la prima volta la sua conversione in un’intervista a Davide Piccardo, coordinatore del Caim, il coordinamento delle associazioni islamiche di Milano, sul sito “La Luce” da lui diretto.

Uno dei temi affrontati è proprio quello della libertà nella religione musulmana. "Il concetto di libertà è soggettivo e per questo è relativo. Per molti la libertà per la donna è sinonimo di mostrare le forme che ha – afferma Silvia – nemmeno di vestirsi come vuole, ma come qualcuno desidera. Io pensavo di essere libera prima, ma subivo un’imposizione da parte della società e questo si è rivelato nel momento in cui sono apparsa vestita diversamente e sono stata fatta oggetto di attacchi ed offese molto pesanti. C’è qualcosa di molto sbagliato – aggiunge – se l’unico ambito di libertà della donna sta nello scoprire il proprio corpo. Quando vado in giro sento gli occhi della gente addosso in metro o in autobus e credo colpisca il fatto che sono italiana e vestita così. Ma non mi dà particolarmente fastidio. Sento la mia anima libera e protetta da Dio".

Sulla scelta del nome la cooperante spiega: "Ho sognato di trovarmi in Italia, passavo ai tornelli della metropolitana e sulla mia tessera dell’Atm c’era scritto Aisha e poi è un nome che significa “viva“". La giovane, oggetto di violenti attacchi sui social per la sua scelta di abbracciare l’Islam, ammette che, quando vedeva "le donne col velo in via Padova (la strada multietnica vicino a cui vive, ndr.), avevo quel tipico pregiudizio che esiste nella nostra società, pensavo: poverine! Per me quelle donne erano oppresse, il velo rappresentava l’oppressione della donna da parte dell’uomo. Io non avevo paura del diverso e nemmeno ostilità, ma quel pregiudizio negativo c’era. Sicuramente il pregiudizio lo avevo: per quello posso capire chi oggi, non conoscendo l’Islam, pensa queste cose. All’epoca ero una persona ignorante, non conoscevo l’Islam e giudicavo senza mai essermi impegnata a conoscere".

Nell’intervista , Silvia spiega di avere pensato che forse Dio l’aveva "punita". "Nel momento in cui fui rapita cominciai a pensare: io sono venuta a fare volontariato, stavo facendo del bene, perché è successo questo a me? Qual è la mia colpa?". Chiarisce che quelle domande non la facevano sentire meglio, anzi: "Mi arrabbiavo perché non trovavo la risposta e andavo in ansia. Non avevo la risposta ma sapevo che c’era e ci dovevo arrivare. Capivo che c’era qualcosa di potente ma non l’avevo ancora individuato, però capivo che si trattava di un disegno, qualcuno lassù lo aveva deciso". Poi , dopo la lunga marcia, l’arrivo nella sua prigione .

"Lì ho iniziato a pensare: forse Dio mi ha punito per i miei peccati, perché non credevo in lui, perché ero anni luce lontana da lui. Ero disperata perché, nonostante alcune distrazioni come studiare l’arabo, vivevo nella paura dell’incertezza del mio destino. Ma più il tempo passava e più sentivo nel cuore che solo lui poteva aiutarmi e mi stava mostrando come. Dopo aver letto il Corano non ci trovai contraddizioni e fin da subito sentii che era un libro che guidava al bene. A un certo punto ho iniziato a pensare che Dio, attraverso questa esperienza, mi stesse mostrando una guida di vita, che ero libera di accettare o meno". Silvia rievoca il primo momento in cui si è rivolta a lui. «Era notte e stavo dormendo quando sentii per la prima volta un bombardamento, in seguito al rumore di droni. In una situazione di terrore e vicino alla morte iniziai a pregare Dio chiedendogli di salvarmi perché volevo rivedere la mia famiglia. Gli chiedevo un’altra possibilità perché avevo paura di morire. Quella è stata la prima volta in cui mi sono rivolta a lui".