Sesto San Giovanni, il Comune esulta: "Cancellata dal Tar la grande moschea"

Scaduti i tempi per depositare il progetto, riavviare il cantiere e impugnare le decisioni del tribunale amministrativo che ha dichiarato estinto il ricorso pendente

Antonio Lamiranda, assessore all’Urbanistica e all’Edilizia privata del Comune di Sesto San Giovanni

Antonio Lamiranda, assessore all’Urbanistica e all’Edilizia privata del Comune di Sesto San Giovanni

Sesto San Giovanni (Milano), 27 marzo 2024 – “La grande moschea è stata cancellata. Il Tar ha definitivamente chiuso ogni possibilità. E anche il testo unico sull'edilizia è chiaro”. Esulta Antonio Lamiranda, avvocato di professione, assessore all’Urbanistica e all’Edilizia privata del Comune di Sesto San Giovanni, che fin dall’epoca di consigliere di opposizione ha dato battaglia al progetto della comunità islamica in via Luini.

Una vicenda annosa, che ha segnato tre campagne elettorali e quattro mandati amministrativi. Ora, dopo una controversia giudiziaria durata quasi 7 anni, la moschea di via Luini è ancora più lontana, se non addirittura svanita. Per il Comune di Sesto San Giovanni, dopo l’ultima notifica del tribunale amministrativo della Lombardia è stata messa definitivamente la parola fine sulla costruzione dell’edificio di culto su un’area di 2.450 metri quadri vicino alla ferrovia.

Una vicenda nata nel 2012, sotto la Giunta Oldrini, quando la maggioranza del consiglio comunale decise la concessione del terreno degradato di via Luini al centro islamico. Lì sarebbe dovuta nascere una struttura polivalente con punto ristoro con cucina, al primo piano l’area per le attività femminili, quella per lo studio e la ricerca sul Corano, una sorta di dopo-scuola, mentre al piano superiore gli uffici direzionali, la sala conferenze e l’alloggio temporaneo per l’Imam. Infine, la sala per la preghiera, orientata a Sud-Est, verso La Mecca. Il tutto per oltre 4,6 milioni, interamente sborsati dalla comunità musulmana sestese che si era accollata anche le bonifiche dei terreni pubblici (effettuate negli scorsi anni), la realizzazione di posteggi per il quartiere e di una strada di collegamento con un comparto industriale mai nato, proprio perché nessun operatore ha mai voluto assumersi gli oneri di risanamento dei suoli.

Tra costi lievitati e lungaggini, quando il centrodestra è arrivato al governo della città, la grande moschea non era ancora iniziata. Così, il Comune firmò un atto di decadenza del permesso a costruire, lamentando anche il mancato versamento di tasse e oneri per 320mila euro, ritenuto “grave inadempimento”. In realtà, prima il Tar e poi il Consiglio di Stato sancirono la soccombenza della legge urbanistica a favore del diritto di culto, riconoscendo validità alla convenzione e invitando il Comune a trovare una soluzione condivisa.

Proprio il Consiglio di Stato nel 2019 sollecitava l'amministrazione a sedersi a un tavolo con la comunità musulmana nel rispetto di un diritto riconosciuto. “I giudici, però, non concessero la sospensiva e indicarono il termine perentorio per avviare le opere: per il centro islamico è stato un effetto domino – continua Lamiranda -. Ora la legge sul punto è chiara: decadenza automatica del permesso di costruire in assenza di inizio lavori. La moschea è, a oggi, definitivamente cancellata”.. Il cantiere non è mai stato riaperto entro il 29 aprile 2018 e, dopo 5 anni di pendenza di lite inattiva, il Tar ha dichiarato “perento”, cioè estinto, il ricorso contro il provvedimento del Comune di decadenza del permesso a costruire. “In questi anni nessun progetto è stato depositato agli uffici, gli oneri residui non sono stati ancora versati nelle casse pubbliche, per questo per noi è decaduta anche la convenzione perché non è stato coltivato il diritto di superficie”. E, con un effetto domino, potrebbero essere travolte anche le altre facoltà della comunità musulmana. “Potrebbero chiedere un nuovo permesso a costruire, certo, ma quel progetto sarebbe inammissibile per il nuovo Piano di Governo del Territorio. Nel Pgt abbiamo deciso alcune prescrizioni. Ad esempio l’altezza massima degli edifici di 10 metri, quindi senza minareto, abbiamo aumentato del 200% la dotazione dei parcheggi rispetto alla superficie dell’immobile, quindi dovrebbero fare due piani interrati di posteggio, e il volume complessivo è fissato a 700 metri quadri, ovvero massimo 300 persone, vietando spazi per dopo lavoro, biblioteche e ristoranti. Lì può essere realizzato di fatto solo un centro culturale”.

Quello che già esiste pochi metri più in là, sempre lungo la ferrovia. In questi anni i fedeli sono rimasti in un prefabbricato, che doveva essere provvisorio per il tempo necessario a costruire la moschea nel terreno accanto: capienza massima di 200 persone, 100mila euro di investimento, durata massima di 30 mesi, ampiamente oltrepassata. Alla comunità musulmana resta però il diritto di superficie e all’amministrazione il dovere di tutelare un interesse pubblico più forte di ogni norma, ovvero il riconoscimento della libertà religiosa garantita dalla Costituzione. “In realtà da avvocato ho dubbi che resti in piedi anche il diritto di superficie, perché era in funzione di qualcosa che non è mai stato costruito – conclude Lamiranda -. È pur vero, e questo lo riconosciamo, che hanno bonificato a loro spese un’area pubblica. In ogni caso, secondo il Pgt il luogo di culto che abbiamo confermato su via Luini dovrà essere messo a bando“.

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro