
Carmela Sciacchitano, mandante dell'omicidio di Senago
Senago (Milano) - Nel ricorso in appello contro la condanna a 30 anni per l’omicidio dell’albanese strangolato a Muggiò e poi murato in un pozzo artesiano a Senago aveva chiesto l’assoluzione sostenendo di essere stata "travolta e schiacciata da un evento per cui non ha avuto possibilità di difendersi, a causa del fatto che lei è al di fuori della cerchia familiare e criminale di chi la accusa e ha affrontato questo processo da sola, contro spregiudicati malviventi con alle spalle un ricco e variegato curriculum criminale". Poi invece ha deciso di concordare la pena con la Procura generale, patteggiando 16 anni. È la sentenza stabilita dalla Corte di appello di Milano per Carmela Sciacchitano, 64enne residente a Genova, ritenuta la mandante dell’assassinio dell’ex fidanzato Astrit Lamaj, quarantunenne scomparso nel gennaio 2013 da Genova e rinvenuto nel gennaio 2019 nel pozzo artesiano di Senago.
La donna era accusata di aver voluto la morte dell’albanese che l’aveva lasciata e di avere commissionato il delitto a compaesani del mandamento mafioso di Riesi, in provincia di Caltanissetta, trapiantati in Brianza, i fratelli Carmelo e Angelo Arlotta, residenti a Muggiò. Il primo, diventato collaboratore di giustizia, ha fatto luce sull’omicidio raccontando che l’albanese è stato attirato a Muggiò con la scusa di una compravendita di marijuana, stordito in un box e strangolato con un filo di nylon. Nel processo abbreviato al Tribunale di Monza che aveva visto la condanna della Sciacchitano a 30 anni di reclusione, a lui erano stati inflitti 14 anni (sentenza confermata anche in appello) mentre al fratello 24 anni di reclusione, che ora i giudici milanesi hanno fatto salire a 30.
Tra 40 giorni le motivazioni saranno rese note. Intanto per questa stessa vicenda attendono il processo in appello altri due condannati dalla Corte di assise di Monza, Francesco Serio, di Muggiò, cugino degli Arlotta, condannato a 3 anni di reclusione per occultamento di cadavere e a 2 anni e 8 mesi per reati di droga di cui era accusato, mentre il coimputato, Cosimo Mazzola, di Cabiate, è andato incontro a una condanna a 3 anni per l’occultamento, oltre a 6 anni e 6 mesi per droga. È appena iniziato invece, sempre davanti alla Corte di assise di Monza, il dibattimento nei confronti di un altro presunto esecutore materiale dell’omicidio, Salvatore Tambè, anche lui di Riesi in Sicilia, il sesto arrestato un anno fa per la morte di Astrit Lamaj. Già agli arresti domiciliari per associazione mafiosa, Tambè è accusato di avere avuto il ruolo di tenere fermo la vittima mentre veniva strangolato. Lui sostiene invece che in quegli istanti si trovava all’ufficio postale.