"Scuole e famiglie imparino il gioco di squadra"

Daniele Novara (nella foto) è un pedagogista di chiara fama. Autore, counselor e formatore, nel 1989 ha fondato il Centro...

"Scuole e famiglie imparino il gioco di squadra"

"Scuole e famiglie imparino il gioco di squadra"

Daniele Novara (nella foto) è un pedagogista di chiara fama. Autore, counselor e formatore, nel 1989 ha fondato il Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti, di cui è tuttora direttore.

Che riflessioni le sollecita l’episodio della bambina costretta a cambiarsi per entrare in classe?

"Direi che è l’ennesima conferma del fatto che la conflittualità tra genitori e istituzione scolastica è piuttosto alta. Mi pare evidente che si fa fatica a trovare strategie che permettano di comunicare senza porsi come controparti. Questo episodio comunque è una delle situazioni più tranquille di cui sono venuto a conoscenza negli ultimi tempi, ne possiamo parlare con una certa leggerezza, non è successo niente di grave".

Esiste a suo parere un problema diffuso di rapporti tra famiglie e scuola?

"Sì. Da un lato alcune scelte ministeriali sono state scriteriate. Il registro elettronico, per esempio, sollecita i genitori a intervenire continuamente, espropriando sia i ragazzi che gli insegnanti dei rispettivi ruoli. Per non parlare di certe chat Whatsapp di gruppi di mamme, in cui ogni inezia è un pretesto per dare sfogo a pulsioni narcisistiche e scatenare il finimondo. Io come pedagogista proibirei quelle chat insieme al registro elettronico. La scuola dovrebbe saper creare un gioco di squadra educativo, in cui però ognuno deve conoscere e rispettare il proprio ruolo. Trovo paradossale che, se a scuola succede qualcosa, il dirigente chiami i genitori perché vengano a prendere i figli. È il segno dell’incapacità dell’istituzione scolastica di gestire situazioni anche semplici e quotidiane".

Qual è la causa di queste difficoltà secondo lei?

"Il preside un tempo era un insegnante di lunga esperienza, con una solida formazione psicopedagogica, capace quindi di gestire al meglio i rapporti interni, con i ragazzi e con le famiglie. Oggi invece viene richiesta una competenza burocratica e amministrativa, inadeguata alle esigenze reali della scuola".

Cosa pensa dell’episodio specifico?

"Premetto che sono favorevolissimo a un ‘dress code’ che rispetti l’istituzione: a scuola si va per studiare e non per esibire l’ombelico o i tatuaggi. In questo caso ritengo però che si sia un po’ esagerato da entrambe le parti. La dirigente avrebbe potuto essere più tollerante, facendo magari notare con discrezione l’inadeguatezza dell’abbigliamento senza costringere l’allieva a cambiarsi. O in un secondo momento ammettere l’errore. La madre da parte sua ha sollevato un “caso”, rischiando di esporre e mettere in ulteriore imbarazzo la sua stessa figlia. Meglio sarebbe stato, a mio parere, chiedere un colloquio riservato alla dirigente e confrontarsi con lei in quella sede. Chiunque può dire una frase sbagliata, persino il Papa. E non è il caso di farne un dramma".

Claudia Cangemi