Saperne quanto una pulce già basta

Claudio

Negri

Forse, a ragion veduta, mi sarebbe bastato – e non mi bastò – imparare a leggere e a scrivere a quattro anni. Una sapienza essenziale, che mi venne dalla nonna e dal cortile, il mio nido più grande. Il resto che cammin facendo ho raccattato, pur sempre con stupore, non mi è servito a granché. Anzi, come quel signore greco di due millenni e mezzo fa, io a conti fatti so una cosa soltanto: quella di non sapere. Vivo come voi in un mondo incagliato, ma pieno di gente che presume di sapere quasi tutto, passando con lisa eleganza dai virus agli scenari apocalittici di guerre termonucleari o a colpi di clava e fionda. Non è necessario far sapere di fingere di sapere, ma il nostro è un pianeta in cui l’esperto e il tuttologo non passano mai di moda, dal pianerottolo del vicino ai social. Astenersi dal giudizio per mera ammissione di insipienza riesce assai difficile. Crediamo di saperla lunga. Quanto a me posso intrattenere, nei casi limite favorevoli, un esiguo numero di lettori o di uditori sul colore dei licheni delle tegole vecchie dell’orto; o sulle gatte selvatiche che andavano a partorire nella nursery del cascinale e davano una figliolanza dal ventre gremito di pulci; ovvero sulle pulci medesime, intasate dal virus della peste bubbonica, che si servivano dei ratti come taxi del contagio... ma mi fermo: queste cose le scarterei dal repertorio perché ho finto di saperle da adulto. In realtà so delle pulci meno di quanto loro sappiano di me. Ripercorro a ritroso, pulci permettendo, il mito della caverna di Platone: verso lanterne magiche e specchietti per allodole. “E tu ci svelerai tuoi segreti?” chiede il Cavaliere alla Morte nel Settimo Sigillo di Bergman (un film che mi illudo di conoscere e amare), “Io non ho alcun segreto da svelare”. “Allora non sai niente?”. “Non mi serve sapere”.

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