
Per un migliaio di lavoratori impiegati in diverse Residenze Sanitarie Assistenziali milanesi è già scattata la cassa integrazione, dovuta alla crisi delle strutture dove è dilagato il contagio, fra decessi degli ospiti e uno stop ai nuovi ingressi che per mesi ha impedito un ricambio. L’autunno, con il possibile ritorno dell’emergenza, potrebbe portare a un "bagno di sangue" per case di riposo che finora, grazie anche agli ammortizzatori sociali, sono riuscite a rimanere in piedi e a garantire l’assistenza. "Siamo preoccupati anche dal punto di vista dell’occupazione – spiega Laura Olivi, segretaria generale della Cisl-Fp Milano Metropoli – alcune strutture più piccole rischiano seriamente di chiudere, e quelle più grosse potrebbero applicare importanti riduzioni del personale. Alcuni reparti si sono svuotati, e anche di questo aspetto la Regione dovrebbe tenere conto". Quello che è al bivio è un modello di assistenza agli anziani non autosufficienti, basato su maxi-strutture e costi che gravano sulle famiglie e sulle casse pubbliche. Flavia Albini, sindacalista Cisl-Fp e membro del Comitato paritetico di valutazione, quest’estate si è trovata davanti a diversi casi di cooperative gestori di Rsa che hanno chiesto il Fondo di integrazione salariale, ammortizzatore sociale del settore, per i dipendenti lasciati a casa a rotazione. Proges, che gestisce le Rsa al Corvetto dove è dilagato il contagio; Coopselios, al timone della casa di riposo in via Quarenghi dove è stato trovato il nuovo focolaio; Istituto Geriatrico Milanese (Igm) e anche la Fondazione Don Gnocchi. Una cassa integrazione chiesta per "difficoltà economiche e mancanza di ospiti" che complessivamente riguarda più di mille persone, mentre la Regione avviava un percorso per una riapertura graduale e in sicurezza dei nuovi ingressi nelle Rsa.
"La cooperative sono in difficoltà ma resistono – sottolinea Albini – mentre la situazione più grave riguarda il settore educativo e dei servizi alla persona. I problemi più grossi dal punto di vista occupazionale nelle Rsa potrebbero farsi sentire da ottobre in poi. Dipenderà dalla situazione sanitaria, un ritorno dell’emergenza potrebbe rivelarsi fatale per alcune strutture". A pagare il prezzo, come in ogni settore, sono stati finora i lavoratori più deboli e precari, che non si sono visti rinnovare il contratto dopo aver trascorso i mesi dell’emergenza sanitaria in prima linea nelle case di riposo. Sono entrati in contatto con il virus, in alcuni casi sono rimasti contagiati. E intanto i sindacati hanno segnalato anche tentativi di scaricare i costi aggiuntivi per le norme anti-Covid sulle famiglie, con un aumento delle rette e rincari che vanno da 2 fino a 8 euro al giorno.
Andrea Gianni