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Rsa, il racconto della strage "Siamo carne da macello... Mascherine? Solo se avanzano"

Nelle carte dell’inchiesta della Procura di Bergamo le richieste inascoltate dei centri per anziani. Il 24 febbraio la società di pulizie chiedeva Dpi. La risposta: "Non vestiteli come astronauti".

Rsa, il racconto della strage "Siamo carne da macello... Mascherine? Solo se avanzano"

di Andrea Gianni

MILANO

"Nelle Rsa a loro dire ci sono 70 casi positivi, che però l’amministrazione non vuole comunicare (dicono), ci sono stati nove morti in tre giorni. Pare attendano da un sacco di giorni l’esito dei tamponi mandati a Pavia ma non arriva nulla". Era il 5 marzo 2020, quando un messaggio inoltrato dall’ex direttore generale Welfare della Regione Lombardia Luigi Cajazzo all’allora direttore generale dell’Ats di Bergamo Massimo Giupponi (entrambi indagati con altre 17 persone, tra cui l’ex premier Giuseppe Conte e il presidente della Regione Attilio Fontana, nell’inchiesta della Procura di Bergamo sulla mancata istituzione della zona rossa ad Alzano e Nembro) riassumeva l’allarme lanciato dai medici di base di Zogno, nella Bergamasca. Giupponi assicurava che "siamo sul pezzo", confermando che "Zogno è una situazione delicata, presenza di Rsa critica". In quei giorni i contagi si diffondevano nelle residenze sanitarie per anziani, con focolai fuori controllo che hanno portato a un numero record di decessi di pazienti e anche di operatori.

Le carte dell’inchiesta riportano decine di richieste di intervento rivolte dalle Rsa ad autorità sanitarie che all’epoca erano all’affannosa ricerca di mascherine e altri Dispositivi di protezione individuale, divenuti introvabili sul mercato. Già il 24 febbraio la società Markas, che si occupava di pulizie e sanificazioni in diverse strutture, aveva scritto chiedendo di "mettere a disposizione del personale i Dpi previsti". Roberto Cosentina, ex direttore sanitario dell’Asst Bergamo Est (anche lui tra gli indagati) trasmise la richiesta a una funzionaria commentando: "Evitiamo di mandarli in giro bardati come astronauti". Violando, annotano gli investigatori, "le disposizioni contenuti nella circolare ministeriale del 22.2.2020 che per il personale che effettuava la sanificazione prevedeva tutti gli appositi Dpi". Il 12 marzo il personale della maggior parte delle Rsa lombarde era ancora senza mascherine sufficienti (il non aver fatto scorte negli anni precedenti, nell’eventualità di un’emergenza, è una delle criticità rilevate dai pm bergamaschi), perché la priorità veniva data agli ospedali, anche loro in affanno. Alle residenze per anziani, quindi, restavano le briciole, come emerge anche dagli scambi di email fra tecnici: "Stanotte sono arrivati altri due lotti, uno di 185mila mascherine chirurgiche e 25mila Ffp2. Con questo qualcosa oggi potremmo dare anche alle Rsa". Il 14 aprile l’ennesima richiesta di intervento, con una email inviata dalla Rsa Ferb Onlus all’allora commissario straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri, e alle autorità regionali, chiedendo mascherine, camici e tamponi. Il 16 aprile si faceva sentire, tramite la Prefettura di Monza, l’Ente Don Orione. 17 aprile la Fondazione Rota di Almenno San Salvatore (Bergamo) inviava all’assessore Gallera un accorato appello, dopo aver allestito nella Rsa un reparto "pari a 19 posti letto per aprire all’ingresso dei pazienti" dimessi dagli ospedali. "Siamo fermi, delusi e disorientati – scrivevano i dirigenti – la mancanza di Dpi ci blocca. Non pretendo che i Dpi ci vengano regalati ma che ci vengano forniti canali privilegiati di approvvigionamento". La risposta dell’Ats di Bergamo arrivò solo il 27 aprile, assicurando che "non appena possibile verrà riservatoindicato un canale preferenziale di approvvigionamento". Un grido di dolore del territorio che era già stato trasmesso, il 24 marzo 2020, dall’ex consigliere regionale Carlo Saffioti a Gallera: "Il territorio è allo stremo (...) Medici di base, Rsa, centri diurni e comunità di ogni genere si sono trovati disarmati. Ci sentiamo carne da macello".