Milano, l'ultima beffa nelle Rsa: dopo i contagi, la cassa integrazione

La denuncia dei sindacati: gli ospiti sono decimati e il personale finisce in esubero

Striscioni appesi dai lavoratori fuori da una residenza per anziani

Striscioni appesi dai lavoratori fuori da una residenza per anziani

Milano, 23 aprile 2020 - Sono stati esposti al rischio, in molti casi sono rimasti contagiati e alcuni hanno perso la vita. Hanno scontato una cronica carenza di dispositivi di sicurezza, hanno fatto gli straordinari per coprire i turni dei colleghi in malattia, ogni giorno a contatto con la sofferenza.

Per i lavoratori delle Residenze sanitarie per anziani e disabili arriva l’ultima beffa, sotto forma di ammortizzatori sociali che alcune aziende starebbero chiedendo per "un calo di lavoro, ossia un numero inferiore di ospiti da assistere a causa dell’elevato numero di decessi che ha svuotato le case di riposo". Strutture dove è dilagato il contagio, che nei casi più gravi ha decimato gli ospiti, mentre i nuovi ingressi restano bloccati. E a pagare il prezzo sono i lavoratori, con la prospettiva di rimanere a casa con la copertura del Fondo di integrazione salariale (l’ammortizzatore sociale per il settore) e lo spettro di futuri esuberi. Una situazione paradossale denunciata dal sindacato Cub Sanità, visto che le Rsa che in questo momento stanno cercando rinforzi fanno fatica a trovare personale. In alcune strutture, poi, in un primo momento sono stati lasciati a casa, invece di potenziare il personale, dipendenti impiegati nei centri diurni chiusi per l’emergenza. Lavoratori richiamati d’urgenza quando i colleghi hanno iniziato ad ammalarsi in massa.

"Da eroi a cassintegrati il passo è breve", sintetizza il sindacato di base Cub. "È proprio in questo momento – prosegue – che si dovrebbe provvedere a cambiare approccio e pensare finalmente alla cura degli ospiti e non a far quadrare i conti e fare profitto. In queste strutture si dovrebbe puntare a dare più qualità, avere un’organizzazione del lavoro migliore, e invece ecco che i gestori cercano sempre la via per non rimetterci". L’appello finale è rivolto a Stato, Regioni, Ats e Comuni che "devono ripensare al sistema Rsa perché ha dimostrato grosse lacune". Le strutture private "devono diventare pubbliche, con garanzia del posto di lavoro per gli operatori attuali e potenziamento degli organici, con il superamento del sistema degli appalti e subappalti". Una volta calmate le acque e arginato il contagio, bisognerà affrontare una situazione di pesante crisi, anche perché le famiglie hanno perso la fiducia nelle strutture. A pagare il prezzo più alto, prima ancora dei dipendenti diretti, potrebbero essere i lavoratori più deboli, quelli di cooperative e società esterne che si occupano di assistenza, pulizie e altri servizi. "La situazione è preoccupante – spiega Isa Guarneri, segretaria della Fp-Cgil di Milano – e le ricadute dal punto di vista occupazionale potrebbero essere pesanti". Intanto si registra un passo avanti nella vicenda dei 18 lavoratori, tra cui alcuni contagiati, che hanno sporto denuncia in Procura contro l’Istituto Palazzolo-Don Gnocchi per le carenze nella sicurezza e sono stati sospesi dalla cooperativa Ampast. Oggi i vertici della Fondazione hanno convocato un incontro chiarificatore con i sindacati Cgil, Cisl e Uil, che avevano rivolto anche un appello all’arcivescovo Mario Delpini chiedendo un suo intervento a favore degli operatori.  

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