
Roberto Vecchioni, cantautore e professore, diplomato honoris causa dalla Iulm nel 2019
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Milano - «Bisogna farli innamorare i ragazzi. È L’unico modo per lasciare in loro un segno. Ci si innamora anche della matematica. Io, che sono un umanista, mi sono innamorato della chimica. Basta far capire che miracolo è il mondo, cosa fa una molecola se sposa quell’altra". Prof Roberto Vecchioni torna in cattedra alla Iulm, dove ogni giovedì terrà il corso “Forme della contemporaneità dell’antico”. Un’esigenza? "Oggi a tutto quello che avviene, dall’economia alla politica, manca un appoggio culturale. È tutto una superficie, si è dimenticato che sotto c’è l’uomo. Non bisogna ragionare a compartimenti stagni. Qual è la centrale motoria? La luce? La nostra grande antichità, che ha previsto e immaginato tutto. Che ci ha insegnato verità interne all’uomo inderogabili". C’è tanta “ignorantocrazia“ per citare il rettore Canova... "E quindi si è pensato di parlare agli studenti, alle persone che faranno l’Italia, per dar loro un senso. L’antico è ancora in noi: scalziamo l’idea che sia un mondo di stufaggine e di lingue morte. Io e la prof Mancuso faremo vedere che è una fotocopia, più alta, di quel che accade oggi. Scalzando il “singolarismo“, la mancanza di umiltà. Sta sparendo la dignità, parola meravigliosa, al centro del discorso del presidente Mattarella". E c’è un’emergenza giovani, anche in città. Dai fatti in piazza Duomo alle richieste di aiuto intercettate dai consultori. Come invertire la rotta? "L’emergenza non è totale, non tutti sono disastrati anche se ci sono punte che fanno più rumore. Si è aperto un baratro profondo tra la cultura nostra, di persone di un’altra generazione, e la nuova. E il dramma comincia in famiglia, quando non capisci i figli e non parli con loro, perché pensi solo alla professione o al non avere una professione. I due drammi italiani. I ragazzi si sono stufati. C’è bisogno di una fede, religiosa, sociale. Di qualcosa che sia collettivo. Per fortuna ci sono anche tanti ragazzi dietro al Papa o che si sbattono per gli altri. Oltre a quelli che, a furia di non avere nulla, né lavoro né cultura, sbottano in proteste di tutti i tipi. Alcune giustificate eccome". In questo vuoto emerge il ruolo della scuola. Quanto è mancata in questi due anni? "Tantissimo. Queste due generazioni, che si sono incrociate in questa situazione, avranno dei problemi. La scuola è guardarsi negli occhi con i grandi maestri, non si può fare davanti agli schermi. Speriamo riescano a risolvere questo handicap. Io da anni faccio battaglia perché alla scuola si diano miliardi veri, non di quelli truccati, per rifare strutture, programmi, per pagare meglio gli insegnanti e per formare una classe capace di in-segnare. Di lasciare quel segno". Troppo spesso affidato alla fortuna? "Io sono stato tra i fortunati: professor Ferrario, ma stiamo parlando dei primi anni Sessanta. I prof che accendono il fuoco li ho trovati più al liceo che all’università, sono quelli che stabiliscono quello che farai. Ho tentato tutta la mia vita di restituire questa fortuna. Mi è sembrato il sogno più bello: dare con la cultura quella corazza meravigliosa che salva l’animo umano". Sogna ragazzo sogna. "Potrebbe essere il simbolo di questo corso. Un uomo di 30-40 anni deve avere certezze dentro di sé, qualsiasi cosa gli si sgretoli intorno. Studio in latino significa amare. E io sto studiando come un pazzo".