
La nipote di Borsellino ha raccontato le storie di chi riesce a sfuggire alla mafia "Non dobbiamo andare a cercarli, sono le stesse famiglie a chiederci di aiutarli".
La mafia e le sue insidie, la scelta della legalità, le figure di Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, le storie dei bambini e dei ragazzi della “Casa di Paolo“ nel quartiere popolare Kalsa di Palermo: "C’è ancora tanto da dire e fare. E sono felice di essere qui con voi: mi date l’energia per continuare e parlare. E a sperare". Per gli studenti delle medie di Vignate una mattinata con Roberta Gatani, nipote di Paolo e Salvatore Borsellino e autrice del libro “Cinquantasette giorni. Ti porto con me alla Casa di Paolo“, dedicato ai giorni intercorsi fra i giorni di Capaci e di via D’Amelio. "Quelli su cui ancora attendiamo verità".
Un incontro promosso dalla Rete antimafie Martesana e organizzato con scuole e Comune. A dare il benvenuto a Roberta Gatani Giovanna Brunitto e Samuele Motta per la Rete, l’amministrazione comunale con il sindaco Diego Boscaro, la dirigente scolastica Daniela Spanò con i suoi collaboratori, e tantissimi ragazzi in platea. Un incontro fra i numerosi che la rete promuove con le scuole. "Antonino Caponnetto – ha raccontato Samuele Motta agli studenti – era solito dire che la mafia teme più la scuola che la giustizia. Perchè opera sull’ignoranza della gente". Dodici incontri nelle scuole del Milanese in quattro giorni per Roberta, figlia di una sorella di Paolo Borsellino, dal 2016 animatrice e responsabile della “Casa di Paolo“, fondata con lo zio Salvatore: un progetto sociale ed educativo che ha preso vita nei locali dell’ex farmacia di famiglia, nel quartiere popolare della Kalsa a Palermo. Qui vengono accolti giovani ragazzi in difficoltà.
Tante le storie, qualcuna speciale. Molti i bambini e i ragazzi aiutati o accompagnati. "Non abbiamo mai avuto bisogno di andarceli a cercare, sono le stesse famiglie che ci chiedono di aiutarli". Mai una difficoltà per il centro intitolato al giudice ucciso. "Mai. Non un vandalismo, non una minaccia. Forse perchè non abbiamo mai avuto la pretesa di insinuarci, siamo entrati in punta di piedi. Siamo i Borsellino che tornano a casa loro. La gente del quartiere ricorda mio nonno, che regalava il latte o le medicine a chi non li aveva. E ricorda Paolo, sempre presente".
Il ricordo dei giudici uccisi un dovere. "I ragazzi li hanno bene in mente, hanno imparato le loro storie a scuola, in famiglia. Li vedono come eroi con i superpoteri, ma erano uomini, che hanno fatto una scelta. E vanno ricordati anche nel loro essere singoli: erano persone diverse".