Milano, l'assedio silenzioso del ristoratore disperato

Paolo Polli multato coi colleghi per il sit-in di protesta: "Finché non tolgono i verbali non mangio e dormo in piazza"

Protesta del 6 maggio del ristoratore Paolo Polli

Protesta del 6 maggio del ristoratore Paolo Polli

Milano, 8 maggio 2020 - Ha dormito in piazza sdraiato su tre sedie, ai piedi dell’Arco della Pace, e continua a oltranza il suo sciopero della fame "contro le multe ingiuste". Il ristoratore Paolo Polli, 54 anni, sta portando avanti anche a nome degli altri colleghi la protesta cominciata mercoledì per lanciare un appello ("Ripartire ora non è sostenibile, lo Stato ci aiuti") e interrotta con l’intervento della polizia che "per assembramento", vietato dalle disposizioni anti Covid, ha multato 15 commercianti. Polli, titolare di 5 locali, è uno di loro.

Cosa avevate organizzato mercoledì? "Un flash mob promosso da me e altri rappresentanti del comitato Ho.re.ca Lombardia che raccoglie gestori di strutture ricettive e ricreative. Abbiamo spiegato le nostre ragioni durante una diretta televisiva e, dopo circa 3 ore, siamo stati raggiunti da altri ristoratori e dipendenti, anche loro desiderosi di parlare. La Digos è intervenuta multando 15 di noi con verbali da 400 euro. Io ho deciso di fare lo sciopero della fame: niente cibo, solo bevande, finché le multe non verranno cancellate. Le ritengo ingiuste sia perché non c’era assembramento, basti dire che eravamo in 26 a fronte di un centinaio di sedie che abbiamo sparpagliato in piazza, e sia perché penso ci debba essere buon senso. Queste sanzioni aggravano la situazione tragica dei ristoratori, già in ginocchio". Ha ricevuto rassicurazioni? "Una nostra delegazione ha incontrato il questore mercoledì, ma ancora non è arrivata una risposta. Spero ci saranno collaborazione e buon senso: non era il caso di darci 400 euro di multa". Resterà in piazza a oltranza? "Sì. Finché non avremo una risposta certa e, soprattutto, l’annullamento delle sanzioni". Ha ricevuto manifestazioni di solidarietà? "Moltissime. Da ieri pomeriggio (mercoledì, ndr) ho ricevuto sei bottiglie d’acqua, caramelle, una coperta rosa che mi è servita per combattere il freddo notturno. La mia è stata una decisione improvvisata, non avevo nulla con me. Poi un fattorino mandato da uno sconosciuto mi ha portato due cappuccini. Altri cittadini si sono presentati con del cibo, che ho conservato nello zaino visto che sto facendo lo sciopero della fame, e con salviettine. Un signore mi ha regalato un caffè, un altro una bottiglia di acqua fresca. Tanta gente si sta mostrando sensibile alla nostra causa e ne sono felice". Qual è la richiesta dei ristoratori allo Stato? "Noi chiediamo di rimanere chiusi finché non ci saranno regole certe e un sostegno economico. Nei mesi di chiusura abbiamo continuato a pagare suolo pubblico, spazzatura e accise sulle bollette. Abbiamo bisogno di soldi in liquidità per pagare gli affitti, molti di noi sono in spazi di privati. In più, la cassa integrazione per in nostri dipendenti". Cosa comporterebbe riaprire ora? "Riaprire con le restrizioni significherebbe non sopravvivere. Per un ristorante che, poniamo il caso, ha 40 coperti, averne 15 sarebbe un suicidio: sarebbero più le spese degli incassi. Un locale medio costa circa 30mila euro al mese e, a essere ottimisti, se ne potrebbero incassare 15mila". Quanti dipendenti ha? "Ne ho 36, su 5 locali. Tre ‘Ambaradan’ e il pub ‘Bq’ a Milano e un birrificio vicino Morbegno. E ora rischiano".

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