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Milano, rifugiato siriano diventa personal chef: ecco la storia di Mohammed

Occhi neri, capelli brizzolati, sorriso abbozzato, era proprietario di un'azienda di catering priam che la guerra gliela portasse via

Il lavoro in una cucina (foto repertorio)

Milano, 20 dicembre 2015 - Cadere e rialzarsi, mai arrendersi. E' quanto ha fatto Mohammed, un rifugiato siriano di 35 anni  che nella sua vita precedente faceva il cuoco. Oggi vive a Milano e ha deciso di concedersi un'altra possibilità. Per questo motivo ha accettato con entusiasmo la proposta di Susy e Carlotta, due volontarie di Sos Erm (Sos emergenza rifugiati Milano), ed è diventato un personal chef. 

Occhi neri, capelli brizzolati, sorriso abbozzato, Mohammed era proprietario di un'azienda di catering che aveva sede vicino Damasco e che contava 36 dipendenti. Prima che la guerra gliela portasse via, lavorava come cuoco e conosce molto bene le specialità della cucina siriana. E così ora Mohammed prepara su richiesta cene tipiche del suo Paese: hummus, baba ghanoush e tabbouleh sono solo alcuni dei piatti che è in grado di mettere in tavola. Entra a casa delle persone e porta con se i profumi e i sapori della Siria. Un coupon costa 15 euro, ma vale più di una semplice cena: è la possibilità di un incontro con una cultura diversa. Così, Mohammed cerca di guadagnarsi da vivere facendo quello che sa fare meglio e spera un giorno di poterlo trasformare in un'attività vera da aprire in Italia. Magari persino con una filiale a Damasco, se questa sanguinosa guerra dovesse un giorno trovare una fine.

Da settembre è un rifugiato politico a tutti gli effetti e, come tutti quelli che scappano da conflitti o da regimi oppressivi, non vuole parlare di quello che ha vissuto nel suo Paese. Non vuole raccontare della guerra, non vuole dire chi è stato a distruggere l'attività che aveva in Siria. Scuote la testa e ripete più volte la parola 'no'. Non vuole parlare di questo. È disposto, invece, a raccontare come è arrivato in Italia. Dell'italiano conosce solo qualche parola, per questo affida la sua storia a Susy, la volontaria di Sos Erm che lo accompagna. È la sua badante, dice prendendola in giro. 

Tremila euro per 15 giorni. Potrebbe essere il prezzo di una vacanza con tour organizzata da un'agenzia di viaggi, invece è quello che ha speso Mohammed per venire in Italia. È partito dalla Siria a giugno dell'anno scorso e in due settimane ha attraversato quattro paesi: da Damasco ha raggiunto il Libano, una volta lì ha preso un aereo per l'Algeria e poi di nuovo uno per la Libia. Ad aspettarlo c'era un barcone - un gigante di tre piani, così lo descrive - che ospitava altre 1250 persone. Dopo 24 ore in mare, la nave è stata soccorsa dalla marina militare. È rimasto a bordo per altri quattro giorni prima di poter vedere la costa, il porto di Taranto. Una volta approdato, non è stato identificato e schedato e, per questo motivo, credeva di poter aggirare le regole del trattato di Dublino e andare in Olanda. Ma quando le autorità olandesi gli hanno chiesto come fosse entrato in Europa e lui ha risposto di essere arrivato via mare, è stato subito evidente che il primo accesso era avvenuto sulle coste italiane. Perciò, dopo quattro mesi, è stato espulso. Ha provato a fare lo stesso in Svezia, ma anche li dopo otto mesi è stato respinto. A maggio 2015 si è perciò ritrovato in Italia. È rimasto nell'aeroporto di Malpensa per 10 giorni, a cui devono aggiungersi i 3 che ha trascorso in stazione centrale a Milano, in attesa che si liberasse un posto per lui. Finalmente, è stato accolto nel centro milanese di via Corelli dove vive tuttora. In Italia può rimanerci per cinque anni perché la questura ha risposto positivamente alla sua richiesta di asilo politico. Se gli si chiede dove si immagina nel futuro, la risposta lascia un sapore amaro: "dieci anni fa ero all'apice della mia carriera, adesso chissà...". L'importante è non smettere mai di sperare e di credere che qualcosa di bello può sempre arrivare.