Storia d'amore con un’alunna di 17 anni: professore di Milano bandito a vita dalle scuole

Rapporto consenziente tra il docente e una studentessa minorenne in un istituto superiore milanese. Massima sanzione del Ministero: licenziato, non potrà più insegnare nelle scuole italiane

La relazione è iniziata quando la studentessa aveva 17 anni (Archivio)

La relazione è iniziata quando la studentessa aveva 17 anni (Archivio)

Milano - Gli sguardi che si incrociano tra la cattedra e i banchi. L’alunna che si innamora del suo professore e glielo fa chiaramente capire. Lui che corrisponde quel sentimento e che alla fine cede. La relazione va avanti per qualche tempo, e non resta solo platonica. Fin quando interviene la madre della studentessa, che impone a entrambi di interrompere la storia d’amore. Un tentativo che sortisce un effetto temporaneo: il rapporto ricomincia, per poi esaurirsi dopo 5 mesi, ad anno scolastico ancora in corso. La vicenda, mai emersa prima, risale al periodo compreso tra l’ottobre 2016 e il marzo 2017: i protagonisti sono un professore all’epoca in servizio in un istituto superiore milanese e una sua studentessa che all’inizio aveva ancora 17 anni. Ora si scopre da una sentenza della Cassazione pubblicata tre giorni fa che il docente è stato punito dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con la destituzione e con l’esclusione dall’accesso futuro a qualsiasi forma di pubblico impiego. Fuori dal burocratese: è stato licenziato e bandito a vita da tutte le scuole d’Italia e in generale dalla pubblica amministrazione.

Il giudizio del ministero

Prima di entrare nei dettagli della battaglia legale, che ha visto il professore sconfitto in tutti e tre i gradi di giudizio, urge una premessa: la condotta dell’uomo non ha generato denunce, inchieste e processi perché non integra un reato. Lo sarebbe stato, da comma 2 dell’articolo 609-quater del codice penale ("Atti sessuali con minorenni"), se l’alunna avesse avuto meno di 16 anni. Altra precisazione: il comportamento finito sotto i riflettori del Miur non rientra neppure tra quelli puniti dalla legge per l’abuso dei poteri connessi alla posizione ricoperta, visto che il docente non ha approfittato del ruolo per costringere l’adolescente a fare qualcosa contro la sua volontà.

Detto questo, a giudizio del Miur, ciò che ha fatto il docente è stato comunque meritevole della massima sanzione disciplinare. In particolare, secondo l’accusa, il dipendente ha violato l’articolo 498 del contratto collettivo nazionale Scuola, che prevede la destituzione in caso di atti in grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione. I legali del diretto interessato hanno contestato questa interpretazione in aula. Il professore non ha negato i fatti, ma ha spiegato: che tutto è scaturito da un iniziale interessamento da parte della minorenne; che i sentimenti erano corrisposti; e che la madre della ragazza, nel frattempo diventata maggiorenne, era al corrente di quello che stava succedendo. Tesi rispedite al mittente nei due verdetti di merito: i giudici della Corte d’Appello di Milano, che hanno confermato la sentenza del Tribunale che ha reputato congrua la destituzione, hanno ritenuto nel gennaio 2020 che le "circostanze addotte a sostegno della pretesa tenuità degli addebiti non fossero idonee a suffragare la tesi difensiva". Di più: "Il disvalore delle condotte emergeva in tutta la sua gravità considerando, da un lato, il ruolo di responsabilità e la funzione educativa assegnati al docente e, dall’altro, il fatto che gli studenti a lui affidati attraversavano un’età obiettivamente critica sotto il profilo dello sviluppo della personalità e delle modalità di interazione sociale".

La sentenza della Cassazione

Di conseguenza, la relazione con l’alunna ha fatto venir meno il professore "in modo radicale ai doveri e alle responsabilità insiti in tale ruolo e disvelato la totale incapacità di discernere la sfera professionale da quella personale e la sfera etica da quella sentimentale, giungendo a uniformarsi nei comportamenti a un coetaneo dei propri allievi". Un’interpretazione confermata in toto dalla Suprema Corte, che ha giudicato corretta l’applicazione della sanzione prevista dall’articolo 498, invece di quella meno grave dell’articolo 496, che, in caso di condanna definitiva per reati con pene non inferiori nel massimo a tre anni o di interdizione temporanea dai pubblici uffici, contempla la sospensione del dipendente per sei mesi e la successiva assegnazione a compiti che non implichino l’insegnamento. Per la Cassazione, il professore ha violato i suoi doveri in maniera grave e diretta. E per questo non potrà più entrare in un’aula.

nicola.palma@ilgiorno.net

 

 

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