DIEGO VINCENTI
Cronaca

La regista Andrée Ruth Shammah: “Milano espelle i giovani per i super ricchi. Ma va amata e difesa”

Per l’anima del teatro Franco Parenti, la città dovrebbe rallentare: “C’è bisogno di più calma”. Ma lei non riposa mai: “Per Natale allestiremo un presepe con il candelabro ebraico”

Andrée Ruth Shammah

Andrée Ruth Shammah

MILANO – Fuori scala. Fuori misura. Un cantiere aperto H24: di parole e di progetti e di passioni. Nel caleidoscopio esistenziale milanese, Andrée Ruth Shammah rappresenta il moto perpetuo. Un fuoco che brucia sotto il parquet del suo Franco Parenti, salotto buonissimo del teatro cittadino, cresciuto a pane e borghesia.

Shammah, lei è uno dei simboli della Milano che non dorme.

“D’accordo, mi ci riconosco. Ma il sogno è quello di riposarmi. E credo che farebbe bene anche a Milano rallentare un attimo e recuperare un po’ di calma. Forse però non è il momento”.

Cosa intende?

“Che il mondo è impazzito. Non mi sarei mai aspettata che qualcuno potesse distruggere il murale dedicato a Liliana Segre. Sarà pure una frangia piccolissima, ma rimango basita. E mi domando se in realtà non stiamo ballando sul Titanic”.

Addirittura?

“Certo. Poi se rimango nel mio, non posso lamentarmi di nulla, la mia ottica sulla realtà è come deformata dal fatto che le cose mi vanno bene. Ma ad allargare lo sguardo vedo molta agitazione e paura del futuro. Senza entrare troppo nei dettagli per cortesia, perché non mi piace sbilanciarmi sul sentito dire”.

Non vuole insomma parlare delle periferie.

“Abito in Brera e lavoro al Franco Parenti, vivo insomma in una gabbia dorata. Come posso permettermi un giudizio? Sono stata rapinata ma non ho la percezione di una città pericolosa, anzi. Poi se devo dire una sensazione di pancia, non credo che le nostre periferie siano diverse dalle altre metropoli. A furia di vivere nella povertà e nella disuguaglianza la rabbia esplode”.

Milano è anche la città dove ogni sabato manifestano i Pro Pal.

“Pro cosa? Io non sopporto queste definizioni: pro Palestina, pro Israele. La riflessione si deve basare sui fatti e sulla ragione. È difficile oggi manifestare per i palestinesi riuscendo nel frattempo a condannare Hamas”.

Forse i milanesi vogliono solo sostenere chi vive sotto le bombe.

“Ma nella situazione attuale è fondamentale riconoscere i terroristi e distinguerli da una rappresentanza politica. Vorrei che qualcuno lo sottolineasse e spiegasse il bisogno di prendere le distanze da quella scia che arriva fino ai finanziamenti dell’Iran, Stato in cui le donne vengono fustigate e gli omosessuali impiccati. Contro questo bisognerebbe manifestare”.

O forse contro Netanyahu?

“No, questo non c’entra nulla. Temo che non si abbia nemmeno una conoscenza adeguata. Ogni tanto mi sembra che si fatichi a collocare le cose perfino a livello geografico. Io però le posso dire una cosa in anteprima, un progetto per il 25 dicembre che ricordi a Milano la sua natura multiconfessionale”.

Prego.

“Quest’anno Natale sarà anche il primo giorno di Hanukkah. Noi faremo un grande presepe, dove mi piacerebbe inserire un Hanukkiót, il candelabro a nove braccia, con un religioso ebreo che venga ogni giorno ad accendere una candela. Credo sarebbe un gesto importante, internazionale. E che in questo tipo di sensibilità ci sia la vera Milano. Quella che ho sempre conosciuto e che in qualche modo riconosco ancora oggi. Mi spiace essere così contraddittoria, in questo periodo non è facile avere un’opinione netta sulla città”.

Non è l’unica.

“Perché da una parte mi viene da difenderla con forza, basta osservarla in rapporto al resto del Paese per percepirne l’eccezionalità. Dall’altra si assiste oggettivamente a un’espulsione dei giovani e delle fasce economicamente in difficoltà, a favore di una massa di super ricchi. Però rimango speranzosa”.

L’orizzonte culturale?

“Milano è la capitale dei teatri, può tranquillamente reggere il confronto con Parigi. La proposta è varia e il pubblico risponde riempiendo le sale, almeno qui al Franco Parenti. Però ci sono problemi da risolvere. Noi ad esempio abbiamo aperto una foresteria per ospitare gli artisti che non possono permettersi un affitto e ne creeremo un’altra a Pavia. Mentre sul palco ragioniamo di disagio giovanile e del valore dei più anziani, in collaborazione con la Fondazione Ravasi Garzanti”.

Esiste ancora la borghesia illuminata milanese?

“No. Ma non vedo nemmeno una classe intellettuale a cui fare riferimento, figure pronte a condividere un pensiero destinato ad alimentare dibattito e conoscenza, senza avere come obiettivo l’autopromozione”.

La città è malata, per dirla con Antigone. Soluzioni?

“Tirare fuori il meglio. Perché ce n’è molto in giro. Le nostre teste hanno la tendenza a criticare ma Milano rimane una città bellissima e unica. Come ho suggerito nel claim della nostra stagione: e se tornassimo a parlare d’amore?”

Non ha nostalgia per la Milano di qualche tempo fa?

“Lasci perdere. Avevo in teatro Eduardo che mi portava la colazione a letto. C’erano Franco, Testori, Albertazzi. Mentre magari in Comune ti confrontavi con uno come Carlo Tognoli”.

Luogo del cuore?

“Via Pier Lombardo 14”.

Mi pare ci sia un teatro.

“Già. Ed è lì che voglio continuare a credere nelle mie illusioni. Intese come sogni concreti, che mi spingono a risolvere le difficoltà. Quello che mi aspetto anche per Milano. Che alla fine è una città piccina ma ci trovi di tutto. Dobbiamo solo ricordarci di proteggerla”.