Quattro annegati in pochi giorni sulle rive dell’Adda, è allarme sul fiume. Pattuglie anti-tuffo e cartelli multilingue non bastano, il dolore e le proposte per mettere fine alla strage corrono in Rete.
C’è chi chiede "piccole piscine protette a fianco dell’alveo per il refrigerio di chi si butta illudendosi di essere al mare. In questo modo non morirebbero più" e chi si interroga sull’efficacia della campagna informativa: "Forse serve un altro di tipo di azione".
Per i Comuni rivieraschi la verità è che "è difficile incidere sul serio, i numeri dimostrano che repressione ed educazione non bastano: serve consapevolezza".
Un concetto che Danilo Villa, assessore alla Pianificazione del Territorio a Trezzo, ripete ogni volta che si consuma una tragedia.
Fabio Colombo, primo cittadino di Cassano, invece, domenica sera, davanti all’ennesima vittima di questa stagione, - ma negli ultimi anni il numero ha abbondantemente superato la ventina - ha detto che "è difficile gestire il problema".
Regole e consuetudini - "come usare come spiagge spazi dove ci sono impianti che dovrebbero essere accessibili solo ai tecnici" si mescolano e possono trasformarsi in un mix micidiale.
La statistica conferma che a cedere alla tentazione sono quasi sempre stranieri che ignorano le insidie dei mulinelli.
Quasi, però, perché due delle quattro morti delle ultime tre settimane erano pescatori esperti della zona: Walter Presezzi di Bernareggio, in Brianza, e Pietro Fumagalli, di Vaprio. Mentre Saliou Dieng e S. Nanayakkara rientrano nella prima categoria.
Bar.Cal.
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