Lotito
I lettori ci capiranno se in questa rubrica ritorniamo su un argomento che certo anche a loro sta a cuore, vista l’angosciante frequenza di incidenti mortali nelle strade della città. Il più recente, domenica scorsa, tra viale Forlanini e via Bellosio, dove un pedone è stato travolto sulle strisce da un autobus dell’Atm. A quanto pare, dovendo svoltare proprio in via Bellosio, il conducente del mezzo pubblico avrebbe allargato la traiettoria a causa di un’auto ferma per avaria all’incrocio, e questo gli avrebbe impedito di scorgere il pedone, nonostante il bus fosse dotato di sensore. Perché tanto dolore? Perché la sicurezza non abita più le strade di Milano? Ciascuno dice la propria: è aumentato il traffico, una città dinamica come questa impone velocità, il numero stesso delle auto è cresciuto a dismisura, e via di questo passo. Tutte interpretazioni sensate, che conducono a due necessari interrogativi: perché, allora, non è cresciuto di pari passo il controllo dei fenomeni? Perché la percezione comune è che le strade milanesi siano da troppo tempo abbandonate al libero arbitrio, senza più regole né responsabilità? La città è un mostruoso affollamento di segnali stradali, divieti e obblighi, strettoie, pericoli evidenti e nascosti: tutto normale, se l’ineffabile "utente della strada" (tutti noi, insomma) avesse sentore di un occhio vigile che ogni cosa osserva e valuta. Ecco, un occhio "vigile": quello di un agente in carne e ossa, e non soltanto la pupilla di vetro di una selva di telecamere, strumenti infallibili ma muti, inerti. Quel che ci vorrebbe, dobbiamo dirlo ancora?, è la presenza e l’azione di una vigilanza viva e attiva, che sappia vedere, prevedere e provvedere. I "ghisa"? Ormai una leggenda, affossata da una visione ottusa e burocratica della mobilità.