Chi pulisce la scena del crimine? La storia di Rainbow

L'azienda conta 220 dipendenti, l’ispirazione è venuta 15 anni fa dagli Usa: "Centinaia di candidature, quasi tutte scartate perché da soggetti morbosi"

La squadra di Rainbow

La squadra di Rainbow

Milano - Entrano in azione dopo le forze dell’ordine, i medici legali, i magistrati. Fanno un lavoro che mette alla prova anima e stomaco, ma che qualcuno deve pur fare. Sono gli addetti alle pulizie degli ambienti dove è avvenuto un crimine. Omicidi e tentati omicidi. "È un lavoro difficile che ha un impatto “forte“ anche a livello visivo. Mai come in questo mestiere bisogna saper essere “distaccati“" rivela Giuseppe Cattolico, 57 anni, fondatore e presidente del gruppo Rainbow, società specializzata in pulizie civili e industriali.

A Milano dal 1989, conta oggi 220 dipendenti, di cui 60 lavoratori svantaggiati perché è una cooperativa sociale. All’interno c’è una divisione “speciale“ che si chiama "Crime Scene Cleaners" specializzata in pulizia delle scene in cui è stato commesso un delitto. La stessa squadra interviene per sanificare gli ambienti dopo un suicidio o in caso di morte naturale. In Italia ad occuparsene sono ancora poche aziende. "Siamo stati noi i primi ad offrire il servizio 15 anni fa. L’idea mi è venuta dopo un viaggio negli Stati Uniti dove il tasso di criminalità è più elevato e il “crime scene cleanup“ è un settore in espansione nel facility management". Gli addetti al Crime Scene Cleanup vengono chiamati dopo la conclusione delle indagini. "Certe volte sono le forze dell’ordine a chiamarci. Ma l’intervento può avvenire anche mesi dopo l’episodio. Qualche giorno fa siamo intervenuti a Landriano, dove è stata uccisa una farmacista di 77 anni: il delitto era avvenuto però a giugno dell’anno scorso" chiarisce Cattolico. Fra i casi famosi, la pulizia del teatro di posa in via Watt a Milano, dove fu ucciso il regista Mauro Curreri nel 2011. "L’episodio però che non potrò mai dimenticare – confessa il presidente del gruppo Rainbow – è stato l’intervento in un’abitazione a Bereguardo, dopo un suicidio nel 2019: un ragazzo 20enne si era sparato con un fucile da caccia. Ci aveva chiamato il sindaco: i genitori erano troppo sconvolti".

In media gli interventi in un anno sono una decina: "Quelli che non accettiamo sono molti di più. Il fatto è che non accettiamo ribassi: teniamo alla qualità del lavoro e anche alla nostra salute. Usiamo un rigido protocollo per la pulizia della scena del crimine in modo che i nostri incaricati possano muoversi in sicurezza" spiega il presidente. Gli addetti al Crime Scene Cleanup usano tute sterili, maschere, guanti, calzari e materiale monouso per eliminare rischi di contagio dal virus hiv ed epatiti.

L’intervento è in più fasi. "Per prima cosa – dettaglia Cattolico – si usano disinfettanti fumogeni per una profonda azione battericida. Poi c’è la pulizia vera e propria, con prodotti presidio medico-chirurgico, gli stessi usati nelle sale operatorie. L’eliminazione di tutte le tracce ematiche e biologiche è determinante per il contenimento e l’eliminazione dei fattori causa di bio pericolosità" precisa Cattolico. L’operazione può essere ripetuta. Contro gli odori si adoperano vernici speciali sulle pareti. A fare il lavoro sono quattro addetti "tutti stranieri, quasi tutti nordafricani". Una curiosità: "Attraverso il web riceviamo moltissime candidature, ma quasi tutte le dobbiamo scartare perché al colloquio ci rendiamo conto di avere a che fare con soggetti “morbosi“. Chi si occupa di questo settore deve essere equilibrato, oltre che professionale".

 

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