RUBEN
Cronaca

Processi mediatici e l’insegnamento di Samek Lodovici

Ruben

Razzante*

La spettacolarizzazione dei processi in tv e la trasformazione degli studi televisivi in vere e proprie aule giudiziarie è una piaga tutta italiana, sempre più difficile da debellare. Esiste da dodici anni un Codice di autoregolamentazione sulla rappresentazione delle vicende giudiziarie in tv, redatto dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e sottoscritto da tutte le emittenti televisive pubbliche e private, che vincola giornalisti e non giornalisti a raccontare i processi con sobrietà e nel rispetto della dignità delle persone coinvolte. Certa informazione troppo spesso indulge al sensazionalismo e la narrazione della vicenda processuale ne esce alterata. Un vero cortocircuito tra giustizia e informazione, che fa a pezzi i diritti degli imputati e dei loro famigliari.

A tuonare contro queste degenerazioni fu, già nel 1998, un magistrato scomparso nei giorni scorsi e che tanto ha dato a Milano e alla giustizia italiana. Renato Samek Lodovici, 82 anni, si è occupato sia di civile che di penale, è stato giudice a latere, presidente della Corte d’Assise di Milano e, infine, Presidente della sezione Gip del Tribunale di Milano. Con alcune sue illuminanti sentenze ha innovato profondamente la giurisprudenza. Ha presieduto processi e maxi processi al terrorismo rosso, alla criminalità organizzata, a cosa nostra e alla ’ndrangheta trapiantate al Nord, e ha vissuto con coraggio lunghi periodi sotto scorta e in grave pericolo. Ma, soprattutto, ha assunto posizioni coraggiose a proposito dei processi mediatici. Già nel 1998, come presidente della Corte d’Assise di Milano, vietò le riprese televisive del processo per l’uccisione di Maurizio Gucci, avvenuta a Milano il 27 marzo 1995 sotto la regia della sua ex moglie Patrizia Reggiani. Per raccontare quel processo i giornalisti arrivarono in Italia da ogni parte del mondo. Samek Lodovici, pur rispettando il principio della pubblicità dei processi, sottolineò l’esigenza di non spettacolarizzarli. Temeva che il dibattimento si trasformasse in una fiction. E la storia gli ha dato ragione, vista l’attuale presa di distanza della famiglia Gucci dal film in uscita su quel delitto.

*Docente di Diritto

dell’informazione

all’Università Cattolica