Posti di lavoro da incubo: silenzio sugli abusi e molestatori impuniti "La prima avance via chat"

Risultati choc di un sondaggio Cisl: il 44% delle donne vittima o testimone di episodi. La giuslavorista: grazie ai movimenti più consapevolezza, ma i casi non diminuiscono

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di Andrea Gianni

Messaggi osceni su WhatsApp, allusioni, avance in ufficio e ricatti sessuali. La forma più classica del sopruso in azienda, unita ai nuovi strumenti tecnologici nelle mani dei molestatori. Il movimento Me Too, nel 2017, squarciò il velo di silenzio sulle molestie sessuali subite dalle donne nel mondo del cinema e poi negli altri luoghi di lavoro. Cinque anni dopo, con in mezzo la pandemia che ha terremotato il mondo del lavoro, le donne continuano a subire abusi, che nella maggior parte dei casi restano nell’ombra. "Sono pochissime le donne che denunciano – spiega Roberta Vaia, della segreteria milanese della Cisl – e nei casi più gravi preferiscono lasciare il lavoro. Il molestatore andrebbe allontanato dalla vittima – spiega – ma nei contratti collettivi dei vari settori non è ancora prevista una sanzione disciplinare per chi si rende responsabile di molestie o di mobbing. Questo, nonostante tutte le parole e le iniziative, rende difficile innescare un vero cambiamento".

Un quadro sconfortante che emerge anche da una rilevazione realizzata dalla Cisl Lombardia, nel corso del 2022, su lavoratrici di diversi settori, attraverso un sondaggio distribuito in fabbriche, negozi e uffici della regione. Sono seimila le donne che hanno partecipato all’indagine, e il 44% ha dichiarato di aver subito molestie o di "esserne stata testimone" nel corso della sua vita lavorativa. Il 50% del campione, inoltre, ha affermato che nei luoghi di lavoro "manca una sufficiente consapevolezza in merito a questo tema". Risultati "drammatici", che si sommano agli altri problemi finiti sotto i riflettori, a partire dal gap salariale: il 70% delle lavoratrici lombarde guadagna meno del partner, e il 60% manifesta una "insoddisfazione economica" che va di pari passo con l’aumento del costo della vita. "I risultati della ricerca – spiega Angela Alberti, responsabile Coordinamento donne Cisl Lombardia – confermano una situazione di grande difficoltà che rende indifferibile un cambiamento profondo che consenta di superare tutti i divari che penalizzano le donne nel mondo del lavoro e nella società". Le molestie sul lavoro vengono dichiarate quando la vittima è protetta dall’anonimato di un sondaggio, ma sono ancora pochissimi i casi che vengono denunciati a carabinieri e polizia o finiscono sul tavolo dei sindacati.

A livello nazionale, secondo gli ultimi dati Istat, sono 1.404.000 le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nell’80,9% dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro. Quasi nessuna ha denunciato il fatto alle forze dell’ordine: appena lo 0,7% delle vittime. "Il movimento Me Too e tutto quello che è seguito hanno portato a un cambiamento della mentalità, le donne hanno una consapevolezza maggiore e le aziende hanno capito che la presenza di un molestatore è anche un danno per la produttività", spiega l’avvocata Tatiana Biagioni, presidente dell’Associazione Giuslavoristi Italiani (Agi) e consulente del dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio. "Il problema è che le molestie non sono diminuite – sottolinea – e le donne hanno gli stessi timori a denunciare, perché non si sentono protette e hanno paura di perdere il posto di lavoro. Fra i casi che sto seguendo sono sempre di più quelli di molestie iniziate attraverso contatti telefonici, con messaggi espliciti o foto oscene inviate su WhatsApp, anche dal telefono aziendale".

La psicologa Federica Piacenza, che collabora con la Cisl di Milano, è in prima linea per "ricucire i pezzi" quando una donna subisce molestie, mobbing o soprusi sul luogo di lavoro. Fenomeni che spesso si intrecciano tra loro. "Arrivano da noi persone devastate – racconta – che nella maggior parte dei casi hanno già perso il posto di lavoro, dopo aver resistito per mesi come guerriere. Avvertono malattie psicosomatiche, depressione e ansia, a volte necessitano delle cure di uno psichiatra. Il problema è la prevenzione, bisogna intervenire quando la situazione non è ancora compromessa e gli strumenti sono ancora troppo deboli".

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