Pochi figli e famiglie in fuga: "Così la città si spegne"

Il demografo Rosina: problemi cresciuti con la pandemia, ora invertire la rotta "Il lavoro non basta, bisogna favorire progetti di vita. Il modello? Berlino"

Il demografo Alessandro Rosina, professore all’Università Cattolica

Il demografo Alessandro Rosina, professore all’Università Cattolica

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Milano, 24 gennaio 2022 - Una donna, a Milano, ha in media 1,17 figli nell’arco della sua vita. Un tasso di fecondità inferiore rispetto alla già bassa media italiana, 1,24 nel 2020. Berlino, invece, ha un tasso di fecondità superiore a 1,5 figli per donna, che supera la media tedesca. Numeri che, secondo Alessandro Rosina, professore di Demografia all’Università Cattolica, descrivono le differenze tra le due metropoli e fanno suonare un campanello d’allarme per Milano. "Se non si inverte la rotta rischia di diventare una città sempre più vecchia e spenta, meno attrattiva e con disuguaglianze sempre più accentuate. I fenomeni già in atto sono stati aggravati dalla pandemia". La bassa natalità viene compensata dall’arrivo di giovani, da altre zone d’Italia e del mondo, attirati da opportunità di studio e di lavoro? "In parte, ma non è sufficiente per colmare il gap. Anche se arrivano ventenni o trentenni, ci sono sempre meno bambini. In questo modo si crea un forte squilibrio fra una popolazione che invecchia e una quota di giovani che si restringe". Quali sono i motivi alla base di un tasso di fecondità così basso? "A Milano il tasso di occupazione femminile è alto. Le donne lavorano e non fanno figli, e questo significa che qualcosa non funziona nella conciliazione lavoro-famiglia. Milano offre servizi inadeguati per le famiglia. Questa città, invece, deve essere attrattiva non solo per chi cerca lavoro ma anche per chi vuole costruire un progetto di vita solido. Ma c’è anche un altro fattore". Quale? "Gli alti prezzi rendono l’acquisto di una casa poco accessibile. Chi vuole costruire una famiglia va ad abitare altrove, e così la città si svuota e perde energie vitali". Quali sono i rischi all’orizzonte, nell’arco dei prossimi dieci anni? "Con questo trend Milano diventerà una città sempre più vecchia, quindi debole e poco attrattiva. Un dato preoccupante è anche quello sui Neet: nella Città metropolitana il 18% dei giovani fra 15 e 29 anni non studia e non lavora. La sfida si gioca tra città in grado di attirare giovani e famiglie, che crescono, e altre che invece invecchiano e rischiano di spegnersi e diventare marginali. Accentuando anche le disuguaglianze sociali. La politica ha il compito di invertire la rotta". In quale modo? È solo una questione di fondi? "Servono idee e investimenti. Ad esempio si può puntare ancora di più sul social housing, trovare soluzioni innovative per offrire servizi alle famiglie, abbassare i costi attraverso sgravi. Puntare sull’alleanza fra pubblico, privato e terzo settore, integrarsi meglio con il territorio attorno". Quale città europea potrebbe fare da modello? "Berlino, grazie a politiche portate avanti negli ultimi 10-15 anni, ha raggiunto un tasso di fecondità più alto rispetto alla media tedesca. Il contrario di quanto è avvenuto a Milano. Un tasso di 1,5 figli per donna è lo spartiacque per una metropoli solida. Milano, almeno sul lungo periodo, dovrebbe puntare a questo obiettivo".  

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