
Guai giudiziari non solo per chi amministra canali Telegram utilizzati per diffondere abusivamente contenuti a pagamento, in violazione del diritto d’autore. Sono al vaglio, infatti, anche le responsabilità dei tanti utenti che hanno utilizzato consapevolmente il sistema illegale e rischiano sanzioni. Il Nucleo Speciale Tutela Privacy e Frodi Tecnologiche della Guardia di Finanza ha sequestrato, nell’ambito delle indagini coordinate dal procuratore aggiunto di Milano Eugenio Fusco e dal pm Carlo Scalas, 545 canali Telegram aperti per pubblicare e diffondere copie digitali di quotidiani e riviste dei principali gruppi editoriali italiani, ma anche palinsesti e serie Tv ed altri contenuti d’intrattenimento delle piattaforme di streaming. Il sistema illecito avrebbe consentito ad oltre 430mila utenti iscritti ai canali Telegram l’accesso libero, senza alcuna forma di abbonamento o pagamento, ai contenuti editoriali. La Gdf ha eseguito perquisizioni personali, informatiche e locali nei confronti di 8 indagati, residenti in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Campania, che avrebbero amministrato i canali social e che rispondono dei reati di diffusione, attraverso reti telematiche, di prodotti editoriali protetti dal diritto d’autore.
Amministratori che traevano profitti anche grazie a banner pubblicitari che comparivano sui canali. Numerosi i gruppi editoriali danneggiati da questo sistema, anche perché era possibile per gli utenti inoltrare ad altre persone i contenuti “piratati“. L’inchiesta è nata da una denuncia presentata dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia, con la quale era stata segnalata l’illegale diffusione online delle copie di quotidiani e riviste. Gli accertamenti degli investigatori hanno portato a scoprire "una rete illegale molto più ampia" rispetto a quella denunciata. Grazie alle analisi informatiche la Gdf è riuscita a risalire "ai responsabili che si schermavano dietro alias e nomi di fantasia". Gli amministratori del sistema avrebbero guadagnato anche attraverso la cosiddetta "affiliazione", ossia la pubblicazione di link che rinviavano a siti di commercio on line, che restituivano, poi, agli organizzatori una percentuale sulle vendite che portavano a termine. Quella milanese è una delle poche indagini di questo genere, assieme ad un’altra della Procura di Bari (con 9 denunce), nella quale si è riusciti a risalire ai gestori dei canali social. Nelle altre inchieste, infatti, si è arrivati al massimo all’oscuramento dei canali.
Andrea Gianni