La storia di Pierluigi Angiuoni: "I giochi in strada con Celentano e il premio avuto da Berlinguer"

Cresciuto col Molleggiato, ha visto la fine di Mussolini in Loreto e conosciuto il leader del Pci. Colpo di fulmine durante una protesta fallita: ci trovammo io e lei ad occupare la fabbrica

Angiuoni (primo da destra) e i compagni premiati da Berlinguer

Angiuoni (primo da destra) e i compagni premiati da Berlinguer

Gli appuntamenti con la storia per lui sono iniziati presto. "Non avevo ancora 6 anni quando papà mi portò in piazzale Loreto a vedere Benito Mussolini e Claretta Petacci appesi a testa in giù". L’immagine di quei due cadaveri rovesciati su una piazza in festa non gli sarebbe più uscita dagli occhi: "È come se li rivedessi adesso", giura Pierluigi Angiuoni, milanese, classe 1939. Sua madre, invece, lo seppe solo dopo. "E si arrabbiò con papà. Gli disse che ero piccolo per quelle cose". Fu un battesimo, però. Involontario. Crudo. Ma un battesimo. E direttamente al fonte battesimale della storia. Già a 12 anni, infatti, Pierluigi è un pioniere del Partito Comunista. Appena maggiorenne apre un circolo dei Giovani Comunisti in via Copernico.

"Lo aprii insieme ad altri – precisa –: da solo non fai niente. Da soli non si può cambiare niente". Ogni svolta inizia dalla prima persona, ma plurale: "È giusto dire “noi“", ripete, da dietro i suoi occhiali, quest’uomo capace di stare in prima linea senza dare le spalle a nessuno. Papà Francesco aveva avuto la meglio: "Lui è sempre stato antifascista, si è esposto molto in fabbrica". Pierluigi cammina sulla sua stessa strada, a passi accelerati, talvolta di corsa: "Avevo 17 anni, ero in corso Buenos Aires ad affiggere manifesti, clandestinamente. La polizia mi beccò, scappai tanto velocemente che mi pareva che i piedi non toccassero terra: correvo forte, ero magro, ero svelto". Ed era la preoccupazione di mamma: "Faceva la camiciaia e aveva un talento nel forgiare il ferro. Era una creativa, non ne voleva sapere di politica, temeva che papà e io finissimo nei guai".

Intanto correvano pure le iscrizioni al circolo di via Copernico: "Lì si poteva pure ballare". L’eco di quel posto richiamò un eroe in via di formazione, un altro appuntamento con la storia: "Che ricordo ho di Enrico Berlinguer?". Pierluigi ripercorre la mia domanda, ripete le mie parole, poi china la testa, si raccoglie in sé e per qualche istante non ne proferisce alcuna. Si guarda le mani, come dovesse decidere se afferrare o no i ricordi. Gli occhi gli si fanno lucidi. "A casa mia – svela – ho il filmato del suo funerale. È stato parte della mia vita. Grande uomo, grandi insegnamenti. Aveva capito che il problema di questo Paese è la questione morale, la corruzione". Fu lui a riportarlo in piazza. Papà Francesco prima, questo Papa rosso poi: "Quando faceva comizi a Milano, c’ero sempre". Berlinguer gli fece visita in via Copernico, premiò il circolo per il numero di iscritti. L’impegno, del resto, è il filo col quale è cucita la biografia di Pierluigi.

Impegno in politica: "Da amministratore pubblico ho sempre tenuto presente la lezione di Berlinguer: onestà e studio". Ha fatto il presidente del Consiglio di Zona 9: oggi si chiamano Municipi, allora furono travolti anch’essi da Tangentopoli. La storia nazionale e cittadina si incontrarono. A cucirle fu lui, col suo filo. "Non mi sconfortai. Militavo nel Pci-Pds e realizzai il primo e unico compromesso storico in Italia – ride, ora, Pierluigi –. I socialisti erano stati spazzati via, così feci entrare in maggioranza la Dc e andammo avanti a lavorare per i quartieri". Poi due mandati da consigliere provinciale, prima all’opposizione della Giunta Colli, poi in maggioranza con Penati. Pierluigi è fondamentale per introdurre norme sul riciclo degli inerti da demolizione, costruire asili e scuole tra Niguarda, Bicocca e Prato Centenaro, realizzare il raddoppio del canale scolmatore del Seveso contro le esondazioni.

Impegno sociale, anche. Insieme agli altri fondatori dell’Assocazione Amici del Parco Nord preserva la parte milanese della grande area verde. Dopo essere riuscito a far restare l’erba laddove c’era l’erba, sogna che si riscoprano i Navigli, che torni ad esserci l’acqua dove c’era l’acqua. Come in via Melchiorre Gioia, quando era bambino, quando era uno della via Gluck: "Adriano Celentano era un amico di infanzia. Sono cresciuto in via Stresa, io e lui giocavamo, insieme ad altri bambini, a lanciarci proiettili di carta da una sponda all’altra del Naviglio Martesana soffiando nelle cerbottane. Altre volte rubavamo i cachi dagli alberi delle ville dei ricchi". Non sapeva ancora che proprio in una villa lo avrebbe incontrato, anni dopo. "Io lavoravo per la Sony. Lui era già un cantante di successo e voleva darsi al cinema. La Sony mi incaricò di andare a Galbiate a consegnargli e installargli un videoregistratore e un proiettore".

Celentano, però, non si ricordò di lui: la storia è fatta anche di appuntamenti mancati. Proprio di questo tipo sembrava, sulle prime, anche l’appuntamento nel quale Pierluigi conobbe Pietrina, la donna con la quale avrebbe condiviso 54 anni di matrimonio e cresciuto due figli. "Prima di essere assunto dalla Sony – racconta –, lavoravo alla Irradio, in via Faravelli. Producevamo 90 televisori al giorni. Ero rappresentante sindacale. Nel ’64 il titolare comunicò che da lì a poco avrebbe chiuso. Io gli chiesi di non lasciare per strada i lavoratori. Ma non voleva sentire ragioni. Per tutta risposta convinsi gli operai ad occupare la fabbrica. Non fu facile, cercai di far capire loro che non avevano nulla da perdere, e ad un certo punto sembravano tutti determinati ad occupare. Ma quando arrivò il giorno dell’occupazione in fabbrica eravamo solo in due, solo io e un’operaia: sì, proprio Pietrina".

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