Milano – “Non sono mai andata in ospedale le altre volte che mio marito mi ha picchiata. Solo questa volta, perché mi ha picchiata così forte che ho pensato di morire. Ora che mi sono salvata sono disposta a farmi collocare in una comunità protetta perché sono sfinita da questa vita, non ne posso più. Ho solo paura che lui faccia del male ai miei figli per farne ancora a me”.
Questa è la storia di Rosa (nome di fantasia) 35 anni, e del ricovero in ospedale che le ha salvato la vita. Nei verbali della denuncia finiti sul tavolo del Quinto dipartimento della Procura emerge in tutta la sua crudeltà il racconto di una donna maltrattata prima in modo subdolo con violenza verbale, poi con uno schiaffo e, infine, con le botte che l’hanno quasi uccisa. Questo è solo uno dei 30 “codici rossi” quasi quotidiani.
Oggi Rosa vive in una casa protetta con i figli e il marito è in carcere, ma vale la pena riavvolgere il nastro dal giorno in cui, in fin di vita per i calci e i pugni, ha la forza di fare quell’ultima telefonata. La sua storia la raccontano i verbali dei medici e della polizia.
Rosa arriva al Policlinico con dolori fortissimi all’addome e un occhio nero. “Ho preso una pallonata da mio figlio al parco e l’occhio nero me lo sono fatta ieri, sono inciampata”. Le lesioni al fegato erano gravissime incompatibili con le spiegazioni addotte da Rosa, potevano essere state causate solo da calci o forti pugni, dicono i medici. “Signora chi l’ha picchiata?”, le chiedono. Inizialmente Rosa resta in silenzio, raccontano, “poi appoggia la guancia al mio braccio - dice il medico - e inizia a piangere. Un pianto disperato e straziante”.
Dai verbali: “Mio marito mi picchia sempre, però devo precisare che è geloso lo è sempre stato. Non gli piace che io lavori perché pensa che io mi veda con un altro uomo. Questa cosa mi fa stare male, quindi sono arrivata a dirgli che, se preferisce smetto di lavorare così non mi picchia più”.E ancora: “Ha cominciato a maltrattarmi anni fa, una sera, quando io avevo messo a letto il bambino e mi ero addormentata. Lui è venuto a letto mi ha preso a schiaffi e mi ha deto che io dovevo alzarmi subito e cenare con lui. Le scuse e i pianti, qualche tempo di tranquillità, i “non lo faccio mia più“ e poi di nuovo”.
“Dice che non riesce a controllarsi – mette nero su bianco Rosa nel suo racconto –. Il giorno in cui è iniziato tutto non è nemmeno, forse, quello in cui mi ha dato il primo schiaffo, ma quello in cui ha cominciato a chiamarmi “cane“”.
E si legge ancora: “Mio marito dopo che mi ha picchiata quest’ultima volta si è spaventato e mi ha dato una tachipirina, dicendo che non aveva fatto apposta. Mi ha chiesto scusa, io avevo così tanto dolore che voleva accompagnarmi in ospedale, ma io gli ho detto di restare a casa a badare ai bambini e ho chiamato l’ambulanza. Ha preteso che restassi in vivavoce con lui per ascoltare quello che dicevo ai medici. Ma stavolta ho trovato la forza di spegnere il telefono. Perché sapevo che sarei morta. Ho solo paura per i miei bambini. Potrebbe fare qualunque cosa”.