Paolo Jannacci come papà Enzo. Il suo quartetto è vero jazz

“Hard Playing” è forse il suo primo disco vero di jazz ed è davvero bello. Se aggiungete all’album il Dvd dello spettacolo “Concerto con Enzo”, dedicato alle canzoni di papà, capirete il motivo per cui ve lo raccomando con il cuore

Paolo Jannacci

Paolo Jannacci

Milano, 6 aprile 2017- Bravo Paolo. Perché “Hard Playing” (Ala Bianca) di Paolo Jannacci è forse il suo primo disco vero di jazz ed è davvero bello. Se aggiungete all’album il Dvd dello spettacolo “Concerto con Enzo”, dedicato alle canzoni di papà con Paolo Tomelleri (clarinetto) e Sergio Farina (chitarra) più J-Ax in “Desolato”, capirete il motivo per cui ve lo raccomando con il cuore. Coerente è il viaggio fra composizioni originali e due standard, magnifico il quartetto con ritmica e tromba, al confine fra jazz moderno (hard bop) e libertà in un’estetica vicina alla Blue Note. Prodotto e registrato in casa con Stefano Bagnoli (batteria), Marco Ricci (contrabbasso), Paolo Jannacci (pianoforte) e Daniele Moretto (tromba), di cui scopro finalmente l’intero universo espressivo.

Enzo mi diceva sempre “Paolo è bravissimo, dovresti ascoltarlo...” e io ci credevo ma in pubblico lo trovavo bloccato all’incrocio fra composizione, arrangiamento, sperimentazione, improvvisazione. Lui è totalmente d’accordo. «Si parte da paludi inesplorate e lontane. Sono cresciuto e sono stato investito da questa energia musicale che comprende tutto, personalità e forza culturale di papà. Negli anni 70 la musica era tutto e niente, crescendo papà si confrontava con musicisti che venivano dal jazz e questo lo ha aiutato a capire le differenze con il pop commerciale». Si scrive la scheda da solo. «Suonavo benino, avevo intuizioni ma anche grandi lacune, mi è sempre piaciuto lavorare in studio. Allora ho studiato pianoforte con Carlo Morena al Conservatorio e seguito i corsi di piano jazz. Ma fino al penultimo album “Allegraero ancora acerbo, comandato dalla musica». 

Qui invece c’è un’interplay potente, «e questo è successo dopo che è mancato papà, ho lavorato tanto tanto sul live con Stefano, Marco e Daniele nel progetto “3+1”, finché abbiamo sentito l’esigenza di fissare questo momento e l’ho fatto nel salotto di casa mia con 5 microfoni e sei canali (le cose del nostro vecchio studio di registrazione)». Cita fra i suoi modelli Chick Corea, Bill Evans e Herbie Hancock, e devo dire che stilisticamente Paolo è un’evoluzione evansiana come Moretto suona nel range introspettivo di Miles. «Ho fatto tutto con il programma Pro Tools al computer in un ambiente di 20 metri quadri». Firma “Solaris” e gli altri temi originali con il gruppo «perché sono quattro idee confluite in uno stesso momento». Interessante la scelta di due standard come “You Must Believe in Spring” di Alan Bergman, Marilyn Bergman, Jacques Demy, Michel Legrand, e “Who Can I Turn To”.   

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