Palestina, rettori in aula: "Una commissione valuterà nel merito gli accordi con Israele e non solo"

Assemblea in Statale dopo l’occupazione-lampo con Brambilla e Franzini. Che non firmano il testo su boicottaggio e genocidio. I collettivi: "Non basta".

Palestina, rettori in aula: "Una commissione valuterà nel merito gli accordi con Israele e non solo"

Palestina, rettori in aula: "Una commissione valuterà nel merito gli accordi con Israele e non solo"

"Aumenteremo le occasioni di confronto, non le diminuiremo: sono qui per ascoltarvi". E quanto agli accordi internazionali con i Paesi in guerra, "c’è una commissione del Senato Accademico che abbiamo riattivato: non fingeremo di analizzarli, li guarderemo tutti". Questi gli impegni ribaditi dalla futura rettrice Marina Brambilla, che entrerà in carica il primo ottobre, al termine di un’assemblea fiume con gli studenti, in aula 111. Accanto a lei c’è anche il rettore uscente Elio Franzini. Avevano promesso quel dibattito pubblico sulla questione palestinese al termine dell’occupazione-lampo del 15 aprile. Non si sottraggono anche quando i toni si accendono. Tutti i posti a sedere sono occupati, ci sono studenti, ricercatori e anche professori in piedi. Il microfono è aperto. Al centro due richieste: "Boicottaggio" e riconoscimento della parola "genocidio". Prendono la voce anche due ragazzi contrari all’uso della parola genocidio e alla rescissione di tutti gli accordi, vengono contestati. Tra gli interventi la testimonianza di una studentessa di Gaza, che è arrivata alla Statale una settimana prima del 7 ottobre: ricorda la sua famiglia distrutta, le università rase al suolo, vorrebbe poter portare quanto sta imparando in Statale a casa, chiede di aiutare a costruire gli atenei lì. Dopo più di tre ore si cerca una sintesi, che sfuma. Viene sottoposto ai rettori un testo in cui l’assemblea chiede "l’impegno serio e reale degli organi dell’ateneo a dare seguito alle richieste della maggioranza delle rappresentanze studentesche in Senato accademico e delle realtà e collettivi studenteschi, nonché di più di 1.200 studenti, docenti e personale firmatari della petizione che chiede la rescissione dell’accordo interateneo con la Reichman University, sita nello Stato d’Israele". Vogliono si decida prima possibile ed entro il 31 dicembre. "E che l’ateneo non sottoscriva più nuovi accordi con istituzioni universitarie, enti, organizzazioni o aziende che partecipano direttamente o sostengono lateralmente: governi di Paesi in stato di guerra, Stati i cui funzionari politici o militari siano accusati di crimini di guerra, Stati che, secondo il diritto internazionale, impongono regimi di occupazione militare, coloniale, di apartheid o di sfruttamento illegale di risorse". Come pure "con enti, organizzazioni o aziende dell’industria bellica in generale" ma anche "il riconoscimento e la condanna al genocidio che lo Stato d’Israele sta compiendo nei confronti del popolo palestinese" e sedute di Senato accademico aperte a uditori, oltre alla pubblicazione "di tutti gli accordi che l’università intrattiene" sul sito istituzionale dell’ateneo. Firmano insieme Giovani Palestinesi d’Italia-Milano, Rebelot, Cambiare Rotta, Cantiere, Ecologia Politica, Fronte della Gioventù Comunista – Milano, GazafreestyleFestival, Giovani Palestinesi d’Italia, Students4Palestine e S. O. Futura. Non firmano Franzini e Brambilla. Il rettore ricorda il "principio della democrazia rappresentativa" e che il testo sarà portato dagli studenti in Senato: "Le posizioni personali qui non si prendono, sarebbe scorretto".

Ricorda le linee guida della Crui e le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella "che vede nell’università un luogo critico dove come tale bisogna ascoltare le voci di tutti". "Leggerò il testo – ricorda la rettrice – l’impegno che chiedete è ampio. Credo che non ci sia dialogo senza rispetto e ascolto. Questa giornata dimostra che la Statale è aperta". Non basta agli studenti firmatari e ai collettivi: "Assistiamo all’incapacità delle istituzioni di schierarsi davanti a evidenze così chiare. Continueremo a fare sentire la nostra voce come movimento", senza escludere altre forme di protesta.

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