
Condannato a 8 anni e 11 mesi di reclusione Angelo Caloia, già presidente dello Ior e poi presidente del consiglio di amministrazione della Veneranda fabbrica del Duomo, l’ente che gestisce la cattedrale. Insieme a due coimputati, pure coinvolti nella vendita del patrimonio immobiliare Ior, è condannato per peculato e appropriazione indebita e interdetto in perpetuo dai pubblici uffici. Il tribunale della Città del Vaticano ha disposto anche la confisca delle somme già sequestrate sui conti correnti degli imputati e il risarcimento allo Ior e alla società Sgir di circa 23 milioni. Le parti civili - ossia lo Ior e la società di gestione immobiliare Sgir, interamente partecipata dall’Istituto - avevano chiesto un risarcimento provvisionale di circa 35 milioni di euro.
"Si attendeva un esito diverso, un riconoscimento di buona fede e correttezza al di là delle valutazioni sul fatto" dice l’avvocato di Caloia Domenico Pulitanò al termine dell’udienza. Il legale si prepara a ricorrere in appello sperando in un "ribaltamento della sentenza che a nostro avviso non rende giustizia".
Per l’ex presidente Ior, il pm Alessandro Diddi aveva chiesto condanna a 8 anni. Per una parte dei 29 immobili di proprietà dello Ior venduti tra il 2001 e il 2008, il tribunale lo ha assolto dall’accusa di peculato o di appropriazione indebita aggravata per insufficienza di prove o perché il fatto non sussiste. I 29 immobili, elencati durante la sentenza, si trovano principalmente a Roma e provincia ma anche a Milano zona Porta nuova. La somma di circa 23 milioni che gli imputati devono restituire a Ior e Sgir, è stata calcolati a titolo, oltre che di danno economico, anche di danno morale e danno reputazionale. Quella di ieri, durata poco più di due ore, è stata l’ ultima udienza di un processo di primo grado iniziato nella primavera del 2018. Caloia, 81 anni, era assente.
Nel 2014, quando si diffuse la notizia che era sotto inchiesta della procura vaticana, Caloia si dimise dal vertice della Veneranda Fabbrica del Duomo. "Sono a rassicuravi sulla mia totale estraneità ai fatti – scrisse al Cda –. In attesa di avere la possibilità di chiarire la mia posizione nelle opportune sedi giudiziarie, ritengo comunque doveroso rassegnare le mie dimissioni dalla carica di presidente del consiglio della Veneranda Fabbrica".
Caloia comunicò la sua decisione anche all’arcivescovo dell’epoca Angelo Scola e al prefetto Francesco Paolo Tronca, dato che la Veneranda dipende dal ministero dell’Interno.