Omicidio Perini: "Finita per i giudici, non per me. Voglio la verità su mio figlio"

Dopo 21 anni, ennesima archiviazione per l’omicidio dell’agricoltore Marco Perini. Ma la madre non si arrende

Ebe Pagliari con la foto del figlio Marco Perini

Ebe Pagliari con la foto del figlio Marco Perini

Abbiategrasso (Milano), 27 giugno 2021 - L’ennesima archiviazione ha lasciato l’amaro in bocca. Ebe Pagliari vive da 21 anni con un solo obiettivo. Quello di sapere chi e perché ha assassinato suo figlio Marco Perini e ne ha gettato il cadavere in una lanca del Ticino. Questa volta la svolta pareva vicina. Arrivare a scoprire i responsabili di un delitto commesso tanti anni prima è impresa improba, eppure una testimone si era fatta avanti. Aveva indicato i nomi di due nomadi, appartenenti ad una famiglia che viveva nei pressi della cascina Meraviglia dove Marco abitava con la moglie. Aveva aspettato tanto tempo perché temeva che venisse incolpato anche il fratello poi deceduto. Ma il problema è che questi due nomadi sono irreperibili. L’ultima volta vennero identificati casualmente da una pattuglia di carabinieri durante un controllo all’interno di un accampamento in località Settebagni a Roma. Da allora più nulla. Se da una parte l’avvocato Francesco Campagna, che segue il caso per conto di Ebe Pagliari, spiega che un omicidio di fatto non può mai essere archiviato, dall’altro aggiunge che c’è sconforto per la decisione del giudice che ha accolto la richiesta del pm. Oltre alle rivelazioni della testimone c’è ben poco nelle mani degli inquirenti. Un anno dopo le sue dichiarazioni anche un uomo dal chiaro accento dell’Est telefonò al 112 informando gli inquirenti che i responsabili della morte dell’agricoltore abbiatense erano due nomadi della Bosnia che in quel tempo vivevano nei pressi della cascina Meraviglia. "Basterebbe un colpo di fortuna e il caso sarebbe risolto – conferma il legale – Di certo non ci fermiamo e continueremo a dare battaglia". Ebe Pagliari non ha mai creduto nella tesi che incolpa i nomadi. Ma, soprattutto, non vuole credere che suo figlio sia stato ucciso per degli screzi futili. Si parla addirittura di un gatto di proprietà dei nomadi ucciso da Marco. Per una mamma la perdita di un figlio è un fatto che non può essere nemmeno immaginato. Perderlo perché ucciso da persone che a distanza di anni sono ancora libere, è peggio della morte. Eppure a Ebe Pagliari in tutto questo tempo non è certo mancato il coraggio. Ricorda tutto come se fosse avvenuto in questi istanti. Verso le 15 di quell’11 maggio del 2000 fu lo zio a vedere Marco andare a casa. Anche la moglie lo vide rovistare tra gli attrezzi, prenderne uno ed uscire velocemente con il motorino. Passò nuovamente davanti allo zio che stava coltivando l’orto. Ebe Pagliari è sempre stata convinta che su quel motorino ci fosse l’assassino che fuggiva in posizione aerodinamica. Marco venne ritrovato cadavere otto giorni dopo la scomparsa in una lanca del Ticino a Besate. «Chi ha agito conosceva alla perfezione questi posti – aggiunge Ebe Pagliari – E conosceva anche Marco. Gli assassini sapevano come muoversi. Chi entra passando dalla cascina Meraviglia deve, per forza, uscire da dove è entrato. Oppure può uscire dalla Cascina Vismara, ma solo se ha le chiavi. E sono in pochi ad averle". La persona che c’era su quel motorino venne recuperata da un fuoristrada entrato da via Cagnola. Su quel veicolo c’era sicuramente Marco già cadavere. "Sono stati anni terribili fatti di errori da parte degli investigatori, nelle fasi iniziali, che non riuscirò mai a perdonare – continua Ebe Pagliari –. Forse nessuno si sarebbe aspettato di vedere una donna continuare a cercare la verità con tenacia. Lo dovevo a Marco e continuerò a lottare nonostante tutto".  

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