Caso Di Fazio: "Ogni giorno mi dava uno sciroppo. E io mi sentivo come fossi in coma"

I racconti delle quattro ragazze che accusano l’imprenditore. Altre tre non si sono ancora fatte avanti

Antonio Di Fazio

Antonio Di Fazio

Milano, 1 dicembre 2021 - Un lavoro lungo e dettagliato. Un’inchiesta su più fronti, con più di 50 persone sentite, per ricostruire la (presunta) vita criminale di Antonio Di Fazio e per dare consistenza e riattualizzare racconti di fatti che alcune vittime avevano inizialmente deciso di consegnare a un passato da dimenticare in fretta. Dall’inchiesta dei carabinieri del Nucleo operativo della Compagnia Monforte e dei colleghi del Nucleo investigativo di via Moscova, confluita nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere notificata due giorni fa all’imprenditore farmaceutico, emerge la figura di un uomo "spregiudicato e perverso", un violentatore seriale che per anni avrebbe narcotizzato e stuprato le ragazze che Fabrizio Brignolo (non indagato), comico con buoni contatti nel mondo dello spettacolo, gli presentava di volta in volta. Stando a quanto risulta, il cinquantenne chiedeva all’amico di fargli conoscere giovani che venivano contattate via Instagram e convinte a diventare le sue "accompagnatrici a eventi pubblici" in cambio di stipendi da 2mila euro al mese.

Le parole delle vittime tratteggiano situazioni sinistramente simili l’una all’altra. C’è una trentenne originaria dell’Est Europa che inizia a frequentare Di Fazio nell’ottobre del 2019 e che sin dal principio, come si legge negli atti, si ritrova "in uno stato di perenne torpore e scarsa lucidità, trascorrendo le giornate a casa dell’uomo, coricata sul divano e priva di forze, costantemente sorvegliata dalla madre dell’indagato, cui doveva riferire ogni suo spostamento". Di Fazio le somministra quotidianamente uno sciroppo, con ogni probabilità "corretto" alle benzodiazepine, e le chiede con insistenza di fare un figlio insieme, un’ossessione costante. I ricordi sono confusi: Carla (nome di fantasia) riferisce di un viaggio a San Marino dalla sorella di Di Fazio (con tappa intermedia a Rimini da una cartomante); narra della notte dell’incidente di via Antonini, durante la quale la polizia sequestra un lampeggiante nell’auto dell’uomo; scava nella memoria per contestualizzare un viaggio di lavoro a Napoli, trascorso "come fosse in coma". Poi c’è Anna (altro nome di fantasia), modella oggi trentacinquenne, che alla prima cena con "il grande imprenditore di Milano famoso e conosciuto" (così le era stato descritto dal solito Brignolo) beve due flaconi di "un liquido rosa" spacciato per integratore e si risveglia seminuda nel letto, "intontita, disorientata e ancora senza forze". E poi c’è Amina, ventisettenne di origini nordafricane, che Di Fazio affascina con fantomatiche cure miracolose per il padre malato e che viene narcotizzata tra l’ottobre e il dicembre 2020 con sostanze descritte come "medicinali contro il Covid" che le provocano "perdita di equilibrio, vomito e un permanente stato soporoso".

Nel febbraio 2021, è il "turno" di una trentatreenne del Nord Europa, che ha solo flash sbiaditi dell’intervallo di tempo compreso tra le 22.30 del 5 e la mattina dell’8 marzo 2021. Più di due giorni letteralmente in balìa di Di Fazio, "stordita e dolorante" dopo aver ingerito un gin tonic. Quattro episodi che confermano l’ipotesi già avanzata a maggio, quando l’imprenditore fu ammanettato per aver violentato una studentessa nel suo appartamento in zona Arco della Pace: cioè, per dirla con le parole del gip Chiara Valori, "di trovarsi di fronte a comportamenti seriali, caratterizzati da un modus operandi progressivamente affinato nel tempo e fattosi man mano sempre più subdolo e al contempo più spregiudicato, forse proprio grazie alla maturata acquisizione della consapevolezza della resistenza che le vittime hanno incontrato nel denunciare l’accaduto".

Due le presumibili ragioni del silenzio iniziale delle ragazze. La prima: la consapevolezza "di non essere in grado di ricostruire nei dettagli quanto effettivamente occorso a causa dello stato di confusione mentale in cui egli le aveva ridotte". La seconda: il timore generato "dall’atteggiamento prepotente dell’uomo e dalle sue vanterie in merito a rapporti con ambienti altolocati (o legati ai servizi segreti) e, contemporaneamente, con personaggi legati alla criminalità organizzata". Analizzando le foto trovate nei cellulari di Di Fazio, i militari della Monforte hanno maturato la convinzione che ci siano almeno altre tre giovani che non si sono ancora fatte avanti per accusare il loro aguzzino.

 

 

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