"Per i familiari di Giulia presenti in aula ieri, assistere al processo per il suo omicidio è stato come vederla morire una seconda volta". È quanto si legge in una storia Instagram condivisa da Chiara Tramontano, sorella della 27enne uccisa con 37 coltellate dal fidanzato, e dagli altri familiari all’indomani della discussione del processo a carico di Alessandro Impagnatiello per omicidio volontario pluriaggravato. L’accusa ha chiesto l’ergastolo. La sentenza è attesa per il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne. "Le parole della difesa sono risuonate offensive e insensibili, definendo l’atroce atto compiuto dall’assassino come un ‘grave gesto’, come se si trattasse di un banale errore, una marachella, e non di un crimine efferato. La difesa ha affermato che, se l’assassino fosse stato un ‘vero stratega’, avrebbe ‘buttato il corpo’ di Giulia, come se si stesse parlando di immondizia, senza alcun rispetto per il valore di una vita umana. Parole che offendono non solo la memoria della vittima, ma anche chi rimane".
Nel post si ricorda poi che "è stato chiesto di far cadere molteplici aggravanti, come se potessero essere ignorate. Con una raccapricciante lettura di messaggi inviati dall’assassino alla sua vittima dopo averla uccisa, siamo stati invitati ad apprezzare un sipario di senso di colpa e richiesta di perdono. "La difesa ha chiesto la ‘giusta pena’. Ma quale può essere la giusta pena per un essere così misero? Esiste davvero una pena adeguata per chi, con tale brutalità, priva una persona della sua vita e una famiglia della propria pace?".