NICOLA PALMA
Cronaca

Niente tabulati all’autista indagato Maximulta da 200mila euro per Tim

Il camionista ha richiesto i dati telefonici per difendersi dalle accuse, ma la società non li ha mai forniti

di Nicola Palma

Voleva difendersi da quell’accusa che riteneva infondata. E per questo ha chiesto al gestore della sua utenza telefonica, la Tim, i dati dei tabulati, così da dimostrare che in quei giorni non si trovava nel luogo in cui era avvenuto il furto di carburante. Peccato che abbia aspettato invano per più di quattro mesi, fin quando ha deciso di rivolgersi al Garante della privacy. Che, a valle di una lunga e dettagliata istruttoria, ha deciso di comminare una multa da 200mila euro a Tim per aver negato al suo cliente il diritto alla difesa. La storia inizia il 21 novembre 2020, quando un autotrasportatore riceve a casa la notifica di avviso di udienza preliminare per un procedimento penale legato a un presunto furto di carburante in un distributore e all’indebito utilizzo di carte di credito. Le fonti di prova, si evince dalla richiesta di rinvio a giudizio, si limitano al "solo atto di denuncia-querela non corroborato da alcun riscontro probatorio, considerato che le telecamere di sorveglianza dei distributori non conservavano più i filmati".

Il 30 novembre 2020, il camionista si affida a un avvocato di fiducia, che avvia subito indagini difensive per provare a scagionare il suo assistito. Il primo passo, compiuto il 15 dicembre 2020, è l’invio di una Pec alla Tim per ottenere copia dei tabulati di traffico telefonico in chiaro in entrata e in uscita per il periodo compreso tra il 28 dicembre 2018 e il 31 gennaio 2019: per la difesa si tratta di dati fondamentali (mai richiesti dall’autorità giudiziaria) per dimostrare che l’imputato non era nelle vicinanze dei distributori nei giorni in cui sono stati commessi i furti. La prima risposta della compagnia telefonica, datata 18 dicembre 2020, sembra incoraggiante: Tim fa sapere che la documentazione del traffico in uscita sarà "fornita a breve", mentre per quella in entrata è necessaria la "compilazione di un apposito modulo prestampato". Il 7 gennaio 2021, l’avvocato invia il modulo compilato e spiega ancora una volta "le ragioni sottese alla necessità e urgenza di ottenere i tabulati del traffico telefonico". Da quel momento, Tim non si fa più sentire per più di un mese, nonostante i solleciti inviati il 27 gennaio e il 5 e il 10 febbraio. Il 17 febbraio, poi, la compagnia telefonica fa dietrofront, con una Pec in cui sostiene di non poter fornire quanto richiesto poiché i dati sono conservati solo per alcune fattispecie di reato, tra le quali non rientrano quelle di cui è accusato il camionista. Di più: per quanto riguarda il traffico in uscita, la richiesta non potrebbe essere comunque soddisfatta per "un mero disguido". Il 20 febbraio, il legale dell’imputato invia una diffida, dando sette giorni di tempo a Tim; che per tutta risposta, due mesi dopo, conferma il diniego, sostenendo che la richiesta delle chiamate in entrata non è stata tempestiva perché arrivata a più di 24 mesi "dalla sua generazione". Il 4 maggio, interviene il Garante, che, sollecitato dall’avvocato dell’autotrasportatore, chiede informazioni a Tim.

"Dalle verifiche interne – spiega la società – sono emerse una serie di circostanze che impediscono di poter qualificare la mancata evasione delle istanze dell’interessato come un “diniego all’accesso”: l’impossibilità di dar seguito alle stesse, infatti, è stata il frutto non già della volontà di negare l’ostensione dei dati richiesti, bensì l’esito, da un lato, di imprevedibili accidentalità operative (la cui eccezionale combinazione casuale ha determinato, in questo limitato caso, la mancata produzione al richiedente dei dati di traffico a lui riferiti); dall’altro, dell’inevitabile rispetto da parte di Tim degli obblighi che sulla stessa incombevano e incombono in virtù delle vigenti disposizioni in materia di retention dei dati di traffico". Per il Garante, "è indiscutibile la violazione dell’obbligo di consegnare i dati a fronte di una richiesta legittima quanto tempestiva". Una violazione ancor più grave perché la condotta della società ha di fatto ostacolato "l’agevole esercizio" del diritto di difesa dell’imputato, pur tenuto conto dell’elevatissimo numero di istanze simili arrivate a Tim nello stesso periodo (più di un milione solo nel 2020), delle misure adottate per far sì che vicende del genere non si ripetano più in futuro e della grave crisi socio-economica legata alla pandemia. Conclusione: 200mila euro di sanzione amministrativa e obbligo di fornire i dati richiesti entro una settimana.