'Ndrangheta, le mani del clan Bellocco su Milano. Così erano "i padroni della città"

Blitz della Dda fra Calabria e Lombardia. I legami con le imprese: "Vantano amicizia? Ci paghino le bollette"

Uno degli incontri ripresi durante le indagini dei carabinieri e della Guardia di finanza

Uno degli incontri ripresi durante le indagini dei carabinieri e della Guardia di finanza

Milano - "Trent’anni di storia con me e mio fratello ci siamo fatti (...) siamo i padroni di Milano quando andiamo a trovare Pinuccio". La figura del narcos soprannominato “Pinuccio di Milano“ spicca, dalle conversazioni intercettate dai carabinieri, come uno "storico contatto" del clan Bellocco nei traffici di droga sotto la Madonnina. Una connessione incrinata da un dissidio, legato alla compravendita di un solo chilo di marijuana, fra il narcotrafficante milanese e il calabrese Benito Palaia. "A tuo fratello vedete di legarlo con una corda perché ve lo ammazzano in qualche posto – avrebbe detto “Pinuccio di Milano“, rivolgendosi al fratello di Benito Palaia – e non sapete nemmeno chi lo ammazza". E gli interlocutori: "M...un favore ci fanno". Episodi, che ancora una volta confermano il radicamento della ’ndrangheta in Lombardia, emersi dall’inchiesta “Blu notte“ della Dda di Reggio Calabria che ieri ha portato all’esecuzione di 63 misure cautelari smantellando la cosca Bellocco, al vertice della “società di Rosarno“: 47 persone sono finite in carcere, 16 ai domiciliari mentre per altre due è stato disposto l’obbligo di dimora. Altre 13 misure cautelari sono state emesse su richiesta della Procura di Brescia che ha coordinato un’indagine collegata a quella calabrese.

Le attività frenetiche della cosca

In Lombardia, infatti, è scattata l’operazione “Ritorno“ nell’ambito della quale il Ros dei carabinieri e lo Scico ed il Gico della Guardia di finanza hanno anche eseguito il sequestro preventivo di beni per oltre 4 milioni di euro. Al centro di tutto, sempre la cosca Bellocco, che è stata decimata dall’operazione. Gli investigatori hanno documentato i viaggi a Milano di Antonino Biondo, uno degli indagati, per aprire "canali di approvvigionamento" di cocaina, attraverso incontri con narcos attivi nel capoluogo lombardo, da rivendere a Roma anche coltivando contatti con la famiglia Spada di Ostia. Traffici di droga, estorsioni, soldi reinvestiti nel settore immobiliare a Milano e nell’hinterland, legami con imprenditori e affari nell’economia legale.

Milano come una “torta da spartire“, al centro anche di contrasti in quella che il gip di Reggio Calabria definisce come "una delle articolazioni di ‘ndrangheta più note della storia criminale degli ultimi 50 anni operante nel mandamento tirrenico". Contrasti che emergono anche da una frase attribuita a Francesco Mandaglio, rivendicando durante un summit mafioso la "facoltà della locale di Giffone di agire in autonomia" rispetto alla cosca di Rosarno: "Noi i malandrini li facciamo al paese nostro, io lo faccio al paese tuo, a Milano, a Roma, lo faccio dove voglio il malandrino". E il business, come sempre, è nelle costruzioni e nel movimento terra. Dall’indagine emerge anche il nome di una società, con sede a Milano, "operante nel settore della costruzione di strade, autostrade e piste aeroportuali".

Imprenditori conniventi

Società, ora in liquidazione, riconducibile a un imprenditore che in passato ha vinto appalti su opere pubbliche e infrastrutture in Italia. Imprenditore che, come emerge da una conversazione intercettata, su una scala da uno a dieci porterebbe un "rispetto" al clan pari a "undici". Un altro costruttore milanese avrebbe vantato un rapporto di amicizia con Umberto Bellocco - nipote del patriarca omonimo Umberto Bellocco morto lo scorso 22 ottobre - che avrebbe preso le redini del clan riuscendo a gestire i traffici dal carcere. "Cerca di capire come si chiama il costruttore – ha detto Bellocco al cognato – perché le bollette non me le paga nessuno a me. Visto che vantano amicizia paghino le bollette".

 

 

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