Il suo nome richiama la mitologia greca e Omero. Per Nausicaa Dell’Orto l’Odissea è stata la sua passione per il football. Milanese, oggi 29 anni, è producer tv ma prima di tutto capitana della Nazionale italiana di football. In Italia è stata pioniera di questo sport da molti considerato “roba da uomini“, anche da suo padre. Lui non ha mai appoggiato la passione e, anzi, ha cercato di farle cambiare idea con la violenza.
Quando ha iniziato a picchiarla?
"Quando ho iniziato ad avere voglia di giocare, non esisteva ancora una squadra e ci allenavamo in un parco. Un giorno sono tornata a casa sporca di fango. Ho iniziato a discutere con mio padre, mi diceva: “Ma cosa fai, ti fai solo male, è uno sport da maschi, siete sesso debole per un motivo, datti al ciclismo”. Ho ribadito la mia intenzione di giocare e mi ha dato un ceffone. Ogni volta che tornavo dagli allenamenti e capiva che non ero stata in palestra, mi picchiava. Un giorno, tornata da scuola, ho
visto che il mio para spalle e il mio casco erano vicino alle cose da mandare in discarica. Ho nascosto l’attrezzatura dalla mia migliore amica, Beatrice Carminati, che gioca ancora con me. Ho iniziato a dire bugie, con la verità avrei preso solo botte. Per la prima partita in assoluto bisognava firmare una liberatoria: l’ho fatto da sola perché i miei genitori non sapevano neanche dove fossi. Il giorno dopo, altre botte. Nel tempo ho capito che la sua approvazione non sarebbe mai arrivata".
Ha mai raccontato a qualcuno cosa accadeva?
"Ho cominciato a parlarne pubblicamente qualche anno dopo. Prima lo dicevo solo alla famiglia del mio ragazzo o al coach. Mio papà aveva mandato una lettera dell’avvocato a casa del mio fidanzato dicendo che se fossi andata ancora lì avrebbe fatto causa perché ero minorenne. Una follia. Oggi purtroppo mio padre (è anziano, ndr) non sa che gioco a football, non gli ho più raccontato nulla della mia vita, perché non capisce, non capisce niente. L’unica cosa che sa fare è sminuirmi. Tante ragazze usano il football come valvola di sfogo. C’è una ragazza che alleniamo, sua mamma ci ha detto che ha subito moleste sessuali a scuola, in terza media. Il nostro sport aiuta: da piccola inizi con i ragazzi, così imparano a rispettarti perché giochi con loro e le ragazze, essendo molto competitive, fanno vedere quanto valgono. Il rispetto lo imparano per tutta la vita".
Se diventasse madre cosa insegnerebbe ai suoi figli?
"Il rispetto delle donne in tutti gli ambienti, a casa, al lavoro, nello sport, perché il problema è che le donne vengono denigrate ovunque. Vengono pagate meno, nella cultura non valgono niente. Se nello sport non sono abbastanza veloci, non è bello vederle giocare e nessuno promuove realtà femminili. Gli uomini sanno che hanno la possibilità di opprimere è solo una cosa non detta, c’è chi lo fa e chi no. Opprimere non è solo ammazzare, è anche sminuire una donna, prendersi i suoi meriti, fare battute. Se rispetti una donna non lo fai".
Perché la vicenda di Giulia Cecchettin colpisce tanto?
"Perché, dopo aver saputo della fuga di Turetta, ce lo aspettavamo. Ha scosso tutti perché siamo arrabbiati: 105 vittime in un anno sono troppe, anche una è troppa, è una cosa sistemica. Ogni giorno si sentono storie così, una mia amica stava con un ragazzo che l’ha picchiata e poi l’ha fatto con altre, e fa l’insegnante delle elementari. Non è una lotta contro gli uomini, ma contro un sistema. Pure i bravi ragazzi usano la carta dell’oppressione e ti uccidono".