Naspi ai detenuti. Il giudice dice sì al sindacato Cgil

Il Tribunale ha accolto il ricorso di un ex-detenuto che aveva lavorato in carcere e ha riconosciuto il diritto alla Naspi. L'Inps aveva sostenuto che le caratteristiche particolari della detenzione non fossero assimilabili al licenziamento. La tesi è stata bocciata dal Tribunale.

Il Tribunale ha accolto il ricorso giudiziario promosso dal legale Silvia Gariboldi e da Inca Milano per il riconoscimento della Naspi a un ex-detenuto che aveva svolto attività lavorativa nel periodo di detenzione a San Vittore, dal 17 settembre 2020 al 27 settembre 2021, giorno in cui è stato scarcerato in quanto ammesso alla misura alternativa della detenzione domiciliare. Dietro le sbarre l’uomo aveva lavorato per conto del ministero della Giustizia, tutti i giorni della settimana con un giorno di riposo, e per tale attività è stato retribuito e assicurato all’Inps. Così il giudice ha stabilito che alla data di cessazione del rapporto di lavoro l’ex detenuto aveva tutti i requisiti per il riconoscimento della Naspi. Inps ha rigettato sia la domanda sia il conseguente ricorso sostenendo che la detenzione carcere ha caratteristiche particolari in considerazione della sua funzione rieducativa e del reinserimento sociale. Sono previsti infatti la predisposizione di una graduatoria per l’ammissione al lavoro, turni di rotazione e l’avvicendamento tra i detenuti: circostanze che, secondo l’Inps, non possono essere assimilate al licenziamento, al quale solo è collegato il diritto all’indennità. In sostanza, l’Inps non contesta la sussistenza del diritto, ma il fatto che il lavoro in carcere abbia caratteristiche diverse ed incompatibili con la ratio che sottende all’istituto della indennità di disoccupazione. Tesi bocciata dal Tribunale.