Musica nuova scienza umanistica

Franco

Mussida

A volte i fatti si legano tra loro a prescindere dal nostro volere, come martedì scorso. Dopo aver varcato dopo più di due anni gli 11 immensi cancelloni che separano l’ingresso del carcere di San Vittore dagli spazi educativi al quarto piano, quelli della Nave, il raggio dei “tossicodipendenti”, mi sono accorto che erano già passati 35 anni… Roba da non credere. “Signor Mussida non si preoccupi da qui la facciamo uscire” mi disse Caterina Zurlo, il vicedirettore di allora, vedendomi intimamente dolorante e bianco in faccia. È passato così tanto tempo eppure i bisogni dei detenuti in questi 35 anni sono rimasti gli stessi. Diversa è solo la popolazione carceraria. Un tempo si sentiva parlare ogni tipo di dialetto italiano, oggi basta guardare i tratti dei detenuti per comprendere che dentro quella penosa parentesi di tempo, all’interno di quelle mura, dove il silenzio durante il giorno si vende a peso d’oro, ci abitano tutte le etnie del mondo. Non serve sentirli parlare, basta guardarli negli occhi. In fondo però Amal, Pedro, Aziz, Eduardo, Fredrick, Giuseppe e gli altri, di fronte alle sostanze, e di fronte alla Musica con il suo linguaggio universale, parlano tutti la stessa lingua. La lingua comune delle pure intenzioni emotive. Noi, con Matilde e il gruppo dei formatori, gliele facciamo provare indotte dalla magia della Musica, li aiutiamo a osservare il miracolo della loro struttura emotiva, grazie alla Musica senza farsi del male. Proviamo a far vedere a ciascuno di loro la propria mappa interiore, quella dimensione lontana dagli occhi che per anni hanno nascosto chiedendo aiuto alle sostanze. La lingua della cocaina, la droga che ti fa provare il piacere intellettuale, quello della melodia, che ti fa sentire intelligente e attivo come l’Amministratore Delegato della NASA anche se non sai cos’è una radice quadrata. La lingua delle canne, la droga che ti proietta nel fascino del timbro, dell’identità dei suoni, un piacere che quieta e attufa il panorama sonoro, che rende tutto indistinto e quindi inoffensivo. La lingua dell’ecstasy, la droga del ritmo e del tempo, la droga che ti fa sentire in un gregge in cui si è tutt’uno con il movimento. La lingua dell’eroina, la droga che ti fa provare la bellezza, il senso dell’Armonia, che ti fa sentire in paradiso, ti fa sentire “Uno” con il Pianeta, i suoi regni. Uno con tutto e tutti, e quando finisce, sai che è tutto vero, è proprio cosi, ma non hai gli strumenti per poter vivere ogni secondo della tua vita. E allora continui a cercare quei viaggi di sola andata finché il cuore e le vene reggono. La Musica è lo stupefacente più potente che abbiamo sintetizzato, ma non siamo ancora capaci di usarlo in modo proprio. Con la Musica, con le canzoni, che non sono Musica, ma codice parola con suoni musicali, ci facciamo il solletico. Usiamo il suo codice per reazione, per poterci muovere a comando anche se non ne abbiamo voglia, per avere conferma che siamo essenzialmente degli esseri emotivi. Ma la Musica è ben altro, è amore vibrante organizzato, e se usata nel giusto modo, può aiutare a scardinare quel, nichilismo, quel senso di impotenza e di abbandono - tanto non c’è più niente da fare - che circola nell’aria in questi anni. È probabilmente per questo che mesi fa mi venne in mente, inconsapevole che fossero passati 35 anni, che per la festa della Musica del 21 giugno il CPM Music Institute dovesse organizzare un convegno che provava ad osservare la Musica non più da un punto di vista del suo essere arte espressiva e performativa, ma come una nuova scienza umanistica ancora tutta da scoprire. Un compito da consegnare ai ragazzi di domani.

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