REDAZIONE MILANO

«Morte non prevedibile». Ecco perché assolte psichiatra e psicologa

Non era prevedibile “un rischio suicidiario imminente”. E solo “un controllo continuo, senza lenzuola, nell’arco di 24 ore” avrebbe forse potuto evitarlo. Ma nemmeno la pubblica accusa ha pensato a un presidio del genere

L'ingresso del carcere San Vittore a Milano

Milano, 20 marzo 2015 - Non era prevedibile “un rischio suicidiario imminente”. E solo “un controllo continuo, senza lenzuola, nell’arco di 24 ore” avrebbe forse potuto evitarlo. Ma nemmeno la pubblica accusa ha potuto arrivare ad immaginare un “presidio” del genere, per quel ragazzo. La psicologa e la psichiatra del carcere di San Vittore, del resto, “si erano poste il problema, impegnandosi nella elaborazione di un progetto che rispondesse alle peculiari esigenze del paziente, visto anzitutto come tale, utilizzando le risorse di cui disponevano”.

Ecco perché entrambe le professioniste sono state assolte tre mesi fa, dalla corte d’appello, dall’accusa di concorso nell’omicidio colposo del giovane Luca Campanale, detenuto a San Vittore ma con gravi problemi psichici, che si tolse la vita nel 2009. Per la Corte, né la psicologa Roberta De Simone, che in primo grado era stata condannata a otto mesi di reclusione, né la psichiatra Maria Marasco, già assolta dal tribunale, avrebbero insomma potuto fare qualcosa di diverso per evitare il suicidio.

Per il pm Silvia Perrucci, che sostenne l’accusa nel primo processo, le due professioniste invece non avrebbero fatto nulla di concreto per scongiurare il gesto disperato di quel ragazzo da curare. Però il sostituto procuratore generale Gianni Griguolo, che rappresentava l’accusa in appello, aveva chiesto l’assoluzione di entrambe le imputate. E i giudici - presidente Antonio Nova - hanno dato ragione a quest’ultimo. Nelle motivazioni della sentenza, appena depositate, la Corte valuta che il rischio “connaturato ai limitatissimi margini di libertà lasciati al paziente, derivanti dalla mancata attivazione di un presidio totale” rientrasse nella categoria del “rischio inevitabile”. Quella inflitta a suo tempo alla psicologa era stata la prima condanna di un tribunale per un caso di suicidio dietro le sbarre. E pure il ministero della Giustizia era stato condannato a un risarcimento di 500 mila euro alla famiglia di Luca, assistita dall’avvocato Andrea Del Corno.