
Giovanna Iannantuoni, rettrice di Milano-Bicocca, presidente della Crui e di Musa
Milano, 28 dicembre 2024 – “Mille ricercatrici e ricercatori stanno lavorando a oltre cento progetti. La sfida ora è comunicare e far comprendere ai cittadini cos’è stato fatto e quale sarà l’impatto per Milano”. Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’università di Milano-Bicocca e presidente della Crui, è al timone di “Musa“, (Multilayered Urban Sustainability Action), l’ecosistema della ricerca che vede in prima linea Bicocca, Statale, Politecnico e Bocconi e che, in collaborazione con 24 soggetti pubblici e privati, ha trasformato Milano in un “laboratorio“ per la rigenerazione urbana.
Due anni dopo, quali sono i primi risultati evidenti?
“Fisicamente abbiamo già una piazza di sensori: piazza della Scienza. Qui monitoriamo e diamo dati sulle emissioni di Co2 e sul particolato, abbiamo un gemello digitale del sottosuolo che ci dà indicazioni sulle falde e sul rischio idro-geologico. Analizziamo le singole foglie e l’inquinamento sonoro. Facciamo capire che l’opera di rinverdimento delle città non può essere casuale, va studiata scientificamente per avere benefici, evitando bolle di calore, e perché sia sostenibile. Ma le linee di azione sono più di 100 e hanno portato già a oltre 70 pubblicazioni e a risultati concreti”.
Qual è l’obiettivo?
“Il primo è la trasformazione urbana: lavorare su grandi metropoli e sul già costruito è più difficile, quello che è stato fatto finora è un’eredità importante che lasciamo a Milano e che può essere replicata in altri contesti, su scala nazionale e internazionale. Penso però anche ad altre sfide: alla transizione digitale e al tema educativo, per evitare disuguaglianze e garantire una reale inclusione. Ma anche a un obiettivo che abbiamo raggiunto con Musa e che va incentivato: l’interazione tra pubblico e privato. Musa è il mio progetto del cuore, credo possa diventare davvero un modello per il Paese”.
I progetti sono in scadenza o all’ultimo miglio. Qual è il futuro di Musa, dopo il Pnrr?
“Il progetto scade nel 2025-26, è vero, ma nonostante questo sono appena entrati nuovi soci e c’è chi sta chiedendo ancora di entrare. È una buona notizia ed è fondamentale per assicurare un futuro dopo il Pnrr: dà respiro. Anche perché non dimentichiamo che il piano era nato proprio per sollecitare il privato a investire nella ricerca e ad aumentarne quantità e qualità, coinvolgendo in questa rete anche le piccole e medie imprese. Le università possono fare da traino per una politica industriale nuova, che punti su filiere e che innesti figure di ricercatori al suo interno”.
Le imprese sono pronte a farlo?
“Devono esserlo, perché è in gioco il futuro stesso del Paese”.
La preoccupazione dopo il Pnrr però c’è: tra le tre università pubbliche milanesi sono stati assunti 1.012 tra ricercatori, tecnologi e tecnici che, tra la fine del 2025 e il 2026, si troveranno al bivio, col contratto in scadenza.
“È vero ed è un capitale umano che non va disperso. Anche il privato deve attivarsi per assorbire i ricercatori già formati che possono portare innovazione nelle imprese. Una parte dei ricercatori poi vorrà continuare la carriera accademica o occuparsi di didattica, e per questo servono finanziamenti certi all’università. Il tema da affrontare oggi è quello di una programmazione almeno triennale delle risorse, per poter guardare sul lungo periodo”.
In questi anni è cambiato anche il modus operandi delle università, che creano sia corsi congiunti sia progetti di ricerca a cavallo tra atenei. Il campanilismo è alle spalle?
“Sì, finalmente si è capito. Ed è un grandissimo risultato e un’altra delle eredità di Musa. Siamo al lavoro con Statale, Politecnico e Bocconi. Ci apriamo alle altre università: non c’è competizione, ma collaborazione. E questo genera qualità e convergenze. La massa critica si crea così, cooperando. Per Milano è importantissimo: un’alleanza tra atenei può davvero cambiare in meglio la città. E qui c’è tanta voglia di farlo e di continuare a lavorare”.