REDAZIONE MILANO

Milano e la sfida della finanza: il futuro degli abitanti in una città turistica

La trasformazione di Milano in una città turistica minaccia l'identità degli abitanti e il ceto medio, sfidando la convivenza urbana.

La trasformazione di Milano in una città turistica minaccia l'identità degli abitanti e il ceto medio, sfidando la convivenza urbana.

La trasformazione di Milano in una città turistica minaccia l'identità degli abitanti e il ceto medio, sfidando la convivenza urbana.

di Marianna VazzanaMILANO

Alla prima lezione, ai suoi studenti pone sempre questa domanda: quale luogo vorresti trasformare, con il tuo lavoro? "Nelle risposte noto sempre una struggente nostalgia di qualcosa che è andato perduto", spiega Elena Granata, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano. E nelle grandi città, oggi, "vedo un’ideologia fortissima, che ha un nemico fondamentale: l’abitante. È il nemico numero uno della finanza e delle piattaforme estrattive che oggi chiedono alla città di essere prima di tutto produttiva".

I cittadini diventeranno una rarità, come il “Milanese a Milano“ cantato da Walter Valdi? "È lecito domandarsi se nelle grandi città potranno continuare a vivere i cittadini. Le dinamiche della finanza hanno bisogno non di abitanti, non di famiglie, ma di turisti e di turisti d’affari. Di persone che vengano per consumare e basta. A Milano si sta scardinando l’identità del ceto medio, che ha fatto la storia della città. Nella Milano turistica, ed è così da Expo in poi, il grande minacciato è l’abitante. Si è parlato tanto della “città a 15 minuti“ ma la prossimità urbana, cioè il poter mantenere le relazioni di vicinato e parentali, che rappresenta il primo welfare femminile, oggi non esiste più. Perché per i costi delle case, della vita, bisogna allontanarsi dalle famiglie d’origine, cambiare quartiere o uscire dai confini della città. Per questo dico che l’abitante stanziale, che vuole continuare a stare, a vivere con la sua famiglia, con i figli, in quelle relazioni di prossimità che intrecciano generazioni, diventa nemico per chi dalla città vuole altro. Ma questa non è la città che vorrei".

E com’è, la città che vorrebbe? "Premessa: quella che io chiamo “l’ideologia della finanza applicata alle città“ oggi è un problema che taglia le città orizzontalmente, ed è così ovunque: negli Emirati, negli Stati Uniti, in Europa, a Milano. Potrebbe essere che le città in futuro diventeranno dei grandi paradisi del divertimento, della finanza, del tempo libero, della cultura. Luoghi che potranno fare a meno degli abitanti. Ma questa non è la città che vorrei. Lo dico col corpo, con l’anima. Cito Giorgio La Pira (ex membro dell’Assemblea costituente della Repubblica italiana): "Le città sono un unico irriproducibile e irrinunciabile, perché sono tutte diverse una dall’altra e non possono essere distrutte". Le città sono l’opera d’arte più grande dell’essere umano e quindi dobbiamo maneggiarle con cura perché hanno a che fare con la relazione nella storia tra le generazioni, non ci siamo solo noi: ci sono i figli che verranno, c’è chi ci ha preceduto. Le città sono sacre, hanno un’anima, non sono soltanto dispositivi estrattivi di finanza e di produttività economica. E questo dobbiamo ribadirlo. Ricordo quando avevo i bambini piccoli, li portavo nel mio quartiere per imparare che cos’è la vita, l’incontro con il mendicante, il panettiere sotto casa. Io vorrei la città dei cittadini".

La “città dei quartieri“ non esiste più? "Esiste, ci sono tanti luoghi a Milano che hanno mantenuto la loro anima. Ma c’è un infragilimento, perché le giovani coppie, gli studenti, i tranvieri, gli insegnanti, il ceto medio non possono competere sul mercato. Il rischio è che un mercato spietato faccia selezione degli abitanti. Un mercato che privilegia il turista rispetto allo studente e lo studente rispetto alla famiglia. Milano è anche la città dei single. Riflesso di solitudini. Lo chiedo io: che città vogliamo? Mi trovo a ribadire l’ovvio: la città è dei cittadini, delle famiglie, delle reti sociali. Prima della finanza, prima della rendita. Impoverendo il capitale sociale si perde umanità e convivialità. In questo modo la città diventa una piattaforma di consumo e non una rete per aggregare nuove vite. Milano non è mai stata così, nella sua storia ha sempre affiancato al capitale la solidarietà. Sta a noi decidere se reagire o se rassegnarsi".

Le donne possono fare la differenza? "Sì. Perché le donne hanno meno da perdere: sono meno legate al potere, agli incarichi di prestigio. Oggi non devono solo rivendicare l’uguaglianza ma devono essere in prima linea per riconfigurare l’agenda politica. Non parlare di “città delle donne“ ma di temi come cura, qualità di vita, conciliazione tra lavoro e vita privata, salute".