LUCA ZORLONI
Cronaca

La grande corsa al cibo a domicilio: Milano va alla guerra dei fattorini

In sei mesi sbarcano in città tre nuove società, con fondi dall’estero: Foodora, Foodinho e Deliveroo scendono nel campo di Bacchette e forchette e Just eat

Alcuni ragazzi della squadra di Foodora

Milano, 8 dicembre 2015 - L'ultimo arrivato a Milano si chiama Deliveroo. Quartier generale nel Regno Unito, fattorini per le strade di trenta città d’Europa e cinque al di fuori, Dubai, Hong Kong, Singapore, Sydney e Melbourne, “quelli del canguro”, come si presentano per via del logo, hanno recapitato i primi pasti a domicilio all’ombra del Duomo lo scorso 2 novembre. A settembre li ha preceduti Foodora, che alle spalle ha un colosso della finanza come Rocket Internet, quotato alla Borsa di Francoforte, mentre a giugno ha debuttato Foodinho, passaporto inglese ma società 100% italiana, fondata da un ex colletto bianco della City londinese. A Milano, insomma, è esplosa la febbre del cibo a domicilio. Basta fare una ricerca in internet per scorrere decine di offerte e di imprese, da quelle più storiche, come Bacchette e forchette e Just eat, agli ultimi arrivati, o una passeggiata per le vie della città. Pubblicità a spron battuto: Deliveroo fa l’occhiolino dal cubo della Darsena o alle stazioni del bike-sharing, Foodora e Just eat hanno tappezzato di manifesti le banchine della metropolitana.

Il mercato del cibo a domicilio sembra essere diventato la nuova gallina dalle uova d’oro. Secondo la rivista di tecnologia «Tech Crunch», vale 70 miliardi di dollari in tutto il mondo, di cui 9 miliardi attraverso i servizi online e gli operatori specializzati. La proporzione è destinata a ribaltarsi nei prossimi dieci anni, con internet che sorpassa il mercato «offline». Per intendersi, la chiamata alla pizzeria per farsi consegnare una margherita. Si spiega così l’esplosione di marchi e società, acquisizioni e fusioni e il debutto a Milano, in meno di sei mesi, di tre nuovi operatori, forti di investimenti stranieri. Non è un caso che la stessa Foodinho, che pure ha un papà italiano, Matteo Pichi, abbia passaporto inglese. «È più facile ricevere fondi dall’estero», spiega l’ex bancario.

Nel giro di poche settimane chi era ormai abituato a giocare in casa, come Bacchette e forchette, ha assistito all’invasione di campo. «Abbiamo iniziato nel 2001, come società autofinanziata – Un fattorino di Deliveroo consegna un ordine, la sede è in Gran Bretagnaracconta uno dei soci, Mario Cassoli –. Abbiamo iniziato a gestire le consegne in modo professionale, con attenzione alla flotta e al confezionamento». Bacchette e forchette (con cui la società viene ribattezzata nel 2011) oggi transa 40mila ordini a Milano in un anno e ha avviato un programma pilota a Rimini. «È stato il banco di prova del nostro modello e l’esito è stato più che soddisfacente», commenta Cassoli. Milano è il battesimo del fuoco sulla piazza italiana: se si passa l’esame, infatti, l’obiettivo di tutte le società è di allargarsi. Foodora ha già messo piede a Torino e «tra gli obiettivi del 2016 c’è anche quello di espanderci in almeno altre tre-quattro città», precisa Gianluca Cocco, che con Matteo Lentini guida la sede italiana del gruppo. Just eat, che un anno fa ha debuttato alla Borsa di Londra, copre già decine di città lungo lo Stivale, da Roma a Firenze fino ai piccoli Comuni, come Vizzolo Predabissi (nel Milanese) o Pescantina (in provincia di Verona).

I modelli di business, tuttavia, sono diversi. Just eat è un «mercato», che passa gli ordini ai ristoranti e percepisce per questo commissioni più basse. Le altre società, al contrario, hanno un dna logistico: la consegna, infatti, è il servizio su cui insistono. Anche in questo caso, però, con sistemi differenti. Bacchette e forchette, che offre un menù di 70 ristoranti, recapita i piatti in tutta Milano. Tempo massimo della consegna, «un’ora, garantendo che il cibo arrivi caldo – afferma Cassoli –. Ma in media siamo sui 30 minuti». I nuovi operatori, invece, hanno diviso la città in quartieri e consegnano ai residenti solo dai ristoranti della loro zona di riferimento. «L’area si estende al massimo per 3/3,5 chilometri», spiega Matteo Sarzana, alla guida della filiale italiana di Deliveroo, che ha affiliato 150 insegne della metropoli. «Per ogni quartiere – aggiunge – scegliamo almeno tre ristoranti di fascia media, alta e altissima per ciascun tipo di cucina».

La promessa del canguro è di far arrivare il piatto alla porta del cliente entro 32 minuti e sulla app si può seguire, attraverso una mappa con georeferenziazione, il percorso di uno degli attuali cinquanta fattorini. «Uno dei problemi della consegna a domicilio è sapere dove si trova il tuo ordine – osserva Sarzana –. La app risolve la questione». Un espediente su cui hanno messo gli occhi i concorrenti, tanto che Picchi conferma che sull’applicazione di Foodinho «a brevissimo inseriremo la mappa». La competizione è agguerrita, motivo per cui i numeri su volumi di crescita, bilanci, punti di pareggio e flotta sono blindatissimi. Altro punto delicato, che cuce le bocche, sono le commissioni che i ristoranti versano alle compagnie di consegna. Ci sono differenze sui volumi del transato e tra locali che lavorano in esclusiva o per più aziende. D’altronde, vanno ripetendo tutti gli operatori, «il mercato è vergine, ancora inesplorato». La guerra dei fattorini della tavola è appena iniziata.

luca.zorloni@ilgiorno.net

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