Migranti e appalti, gli affari dei clan

I richiedenti asilo usati come manodopera. E il blitz con una ruspa

Intercettazioni dei carabinieri

Intercettazioni dei carabinieri

Milano, 11 luglio 2019 -«Io c'ho, con una cooperativa, che ci sono certi extracomunitari, che mi pagano a me per i terreni lì, ed erano... 250 euro al mese a... pulire i laghetti, i rovi». Sono le 17.51 del 16 ottobre 2017, e i carabinieri del Nucleo investigativo captano una conversazione in cui Cataldo Santo Casoppero, uomo di fiducia del boss di Lonate Pozzolo Mario Filippelli, parla di richiedenti asilo, terreni da acquistare e finanziamenti regionali. Intercettazione dopo intercettazione, i militari di via Moscova riescono a capire di cosa stesse parlando il sessantasettenne di Cirò Marina, uno dei 38 arrestati dell’operazione anti-’ndrangheta «Krimisa».

Nelle carte dell’indagine, coordinata dai pm della Dda Alessandra Cerreti e Cecilia Vassena, spunta un filone legato a uno spazio agricolo a Oleggio, in provincia di Novara, all’interno del Parco del Ticino. La storia inizia nell’estate del 2015, quando l’imprenditore Roberto Maria Volpi avvia una trattativa per l’acquisto dell’area; i suoi intermediari, occulti, sono Cataldo Casoppero, braccio operativo della ’ndrina per il reinvestimento dei capitali sporchi, e il figlio Antonio, titolare della ditta Vale.Scavi. Sorge un problema. Nella zona c’è un’attività di pesca sportiva che usufruisce in comodato d’uso di alcuni laghetti: a compravendita avvenuta, i Casoppero si recano dal gestore per intimargli di demolire un fabbricato abusivo; altrimenti, il messaggio, ci penseranno loro. Così accade, il 2 gennaio 2016: «Sono andato di notte con l’escavatore... – racconta Casoppero senior – lui ha una specie di bar, una... una gabbia. Ci sono andato di notte con la terna, lì gli ho dato una botta, ho buttato giù bar, tutti... tutte le cose». Poi, «per non farlo andare subito in caserma, ho fatto uno scavo all’uscita, ci è andato a finire con la Jeep dentro il cornuto...». Perché Casoppero tiene così a quel progetto? Considerato che né lui né Volpi «hanno alcun background agricolo o turistico-ricettivo né parrebbero essere interessati all’avvio di coltivazioni – annotano i carabinieri coordinati dal tenente colonnello Michele Miulli e dal maggiore Cataldo Pantaleo – tali conversazioni risultano rilevanti in quanto l’acquisizione di mezzi agricoli potrebbe risultare funzionale all’accesso a fondi o finanziamenti statali/europei/regionali e necessari a giustificare l’avvio di attività di riqualificazione ambientale». Non basta.

Dai dialoghi emerge pure che Casoppero avrebbe sfruttato almeno 7 richiedenti asilo, in teoria in carico a una coop di Torino, ma in realtà alloggiati in un piccolo edificio dell’area verde, Cascina Caprera, in virtù di un’intesa tra la onlus e Volpi per «formazione professionale ed eventuali percorsi di tirocinio finalizzati all’inserimento lavorativo». Gli accertamenti dei Forestali hanno fotografato tutt’altro scenario: quei migranti erano utilizzati «in attività di sfalcio, potatura, taglio arbusti, movimentazione terra». Casoppero sintetizzerà così: «Guarda quanti camion di terra di coltura ho portato qua, qua c’erano boschi... li sto facendo ammazzare, penso che ho comprato una cinquantina di decespugliatori nuovi, li stanno distruggendo... me ne frego di loro, tanto io a loro gli do 250 euro al mese. La cooperativa a me me ne dà 1.700... ci guadagniamo anche su questi». Finita? No. Casoppero mirava ad altri business: a cominciare dagli appalti per la posa della fibra ottica («La stanno facendo in tutta Italia, sono dieci anni di lavoro»), con i presunti buoni uffici di un ufficiale dell’Aeronautica in servizio a Roma («C’è lui che praticamente pilota tutto»).

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