
Michele Fumagalli
Milano, 17 luglio 2018 - A 34 anni è diventato già professore ordinario alla Durham University, nel Regno Unito. Una carriera stellare - oltre La Manica - per Michele Fumagalli che, dopo la laurea con 110 e lode alla Bicocca, aveva fatto subito parlar di sé a livello internazionale per avere individuato tracce di gas primordiale nell’universo. «Ma non sono un cervello in fuga, nessuno corre via dall’Italia a gambe levate – precisa l’astrofisico –. Il nostro ambiente è internazionale, lo scambio accademico è naturale. Si parte, si esplora, non si esclude anche un rientro».
A Milano ha cominciato a guardare le stelle...
«Sì, tutto ha inizio da qui. Dall’Università di Milano-Bicocca, con la laurea triennale e la specialistica. Mi avevano sempre affascinato le scienze in generale, alle superiori avevamo partecipato alle giornate sulla Fisica, ho scelto la strada. Quando ho scoperto l’Astrofisica non l’ho più lasciata».

«In California, a Santa Cruz, per il dottorato. Sono stato ricercatore all’osservatorio di Carnegie e all’università di Princeton. Il mio ufficio si diceva fosse lo stesso in cui stava Einsten quando veniva in visita. Un’emozione se ci ripenso».
Ha recentemente vinto anche un finanziamento europeo. Cosa indagherà?
«Il Grant dell’European Research Council è finalizzato a studiare come si formano le galassie, scambiando gas con l’ambiente circostante per per formare le stelle».
Il sogno più grande: cosa vorrebbe scoprire?
«Nelle simulazioni molto dettagliate di come si formano le galassie ci sono dei filamenti di materie oscure e gas. C’è un problema empirico: è difficile osservare la luce che proviene da questi filamenti, nessuno li ha mai osservati. Ecco. Mi piacerebbe trovare degli indizi sull’esistenza di questi filamenti, che connettono varie galassie, con tecnologie nuove e strumenti».
Dalla ricerca all’insegnamento. Professore ordinario a 34 anni.
«Seguire gli studenti del dottorato è molto piacevole, è uno dei motivi principali per cui non ho continuato a lavorare in osservatorio ma ho preferito l’ambiente dell’università. È vero, ho 34 anni, posso sembrare giovane per l’Italia (sorride), ma ad agosto prenderò servizio come professore ordinario in Inghilterra. Ho lavorato con ricercatori da tutto il mondo, la preparazione di chi si laurea nelle università italiane è riconosciuta».
Quanto ha inciso l’esperienza in Bicocca?
«Tantissimo. È partito tutto da lì: pur non essendo un’università centenaria e gigantesca continua a offrire strumenti e contenuti eccellenti che all’estero guardano con attenzione e che fanno bene a livello internazionale, sia nell’ambito della ricerca che nel lavoro. Per me è stata un’esperienza molto arricchente, ho capito cosa significa lavorare insieme, condividere la passione per quello che si fa. Il legame con Milano resta: spesso sono in visita dai miei allora professori e attuali colleghi e tengo lezioni di dottorato per rimanere in contatto».
Tornerà?
«L’Inghilterra mi ha dato una prospettiva di carriera, mi piace e mi trovo bene. Ho anche dei ricordi molto piacevoli dell’università italiana, che mi piacerebbe esplorare da professore, qualora si presentassero le condizioni».