NICOLA PALMA
Cronaca

Agenti assolti, la Cassazione: "Non ci fu violenza su Ferrulli"

Le motivazioni della sentenza

Michele Ferulli, l'uomo morto durante l'arresto

Milano, 2 febbraio 2018 - Non ci fu violenza. E le manovre di ammanettamento furono corrette. La Cassazione chiude il caso Ferrulli. Due giorni fa, i giudici hanno reso note le motivazioni della sentenza che nell’ottobre scorso ha confermato l’assoluzione dei poliziotti Francesco Ercoli, Michele Lucchetti, Stefano Piva e Sebastiano Cannizzo, accusati dell’omicidio preterintenzionale del manovale 51enne deceduto la notte del 30 giugno 2011. Ripartiamo dalla ricostruzione di quella serata in via Varsavia. Da lì arriva una segnalazione al 112 per schiamazzi in strada. Sul posto vengono inviati gli agenti Ercoli e Lucchetti, che trovano Ferrulli e due amici romeni davanti a un bar. Il 51enne, stando al verdetto della Corte d’Assise, si rifiuta di fornire le sue generalità, tanto che i due poliziotti decidono di chiedere l’ausilio di un’altra Volante, quella di Piva e Cannizzo. «Ferrulli aveva poi aggredito Ercoli – si legge ancora – e, a quel punto, i quattro poliziotti avevano cercato di ammanettarlo, dapprima appoggiandolo al cofano della Volante».

Senza riuscirci. «Data la mole della parte offesa, il tentativo di ammanettamento non era riuscito e sia Ferrulli che i poliziotti erano caduti a terra, cosicché i poliziotti lo avevano ammanettato mentre si trovava prono a terra, costringendolo a piegare il braccio destro dietro la schiena». Poi il malore, fatale nonostante il tentativo di rianimarlo da parte degli agenti e la corsa in ospedale. Sia in primo grado che in Appello, le modalità di ammanettamento sono state ritenute «legittime»; e non sono state ravvisate «lesioni ulteriori rispetto a quelle connaturali alla necessità di bloccare la parte offesa». Inoltre, «Ferrulli si era opposto all’identificazione, non aveva consegnato il documento d’identità, aveva ingiuriato e aggredito uno degli agenti, sicché la decisione di procedere al suo arresto era pienamente legittima». Tesi contestate sia dalla famiglia del 51enne che dal procuratore generale presso la Corte d’Appello di Milano, che hanno presentato ricorso con un’articolata serie di censure. Censure in parte ritenute inammissibili in parte rispedite al mittente. Esclusi sia il presunto schiaffo di Ercoli a Ferrulli che l’uso di un manganello, la Corte ha ritenuto «provato» il fatto che il 51enne colpì l’agente con una spallata, compiendo «un gesto aggressivo» che contribuì alla decisione di ammanettarlo. Altra questione: la consegna o meno del documento d’identità. «Resta – scrivono gli ermellini – un dato fondamentale indiscusso, vale a dire che i documenti di identità di Ferrulli e dei due romeni si trovavano nella tasca della giacca del Ferrulli». E per affermare, «come sostengono i ricorrenti, che furono messi lì da uno degli agenti (quale e in che momento?) al fine di precostituirsi una prova della legittimità dell’arresto, non sono sufficienti ipotesi o considerazioni logiche, ma sarebbe necessaria una prova certa». Mai portata. Passiamo alla seconda fase dell’intervento. Quella dell’ammanettamento. L’attenzione si concentra sui dieci colpi sferrati da due agenti (non contemporaneamente) «col palmo della mano sulla scapola al fine di indurre Ferrulli a piegare il braccio destro per portare a compimento l’ammanettamento». Colpi che, per i giudici, non sono assimilabili alle percosse, cioè uno dei due reati che sta alla base dell’omicidio preterintenzionale: «Ove la condotta di manomissione fisica sia doverosa o consentita – la spiegazione – l’eventualità che essa determini una sensazione di dolore in capo a chi la subisce non consente, comunque, di ritenere sussistente il reato di percosse». Conclusione: il manovale è morto «per una tragica fatalità» legata a una condizione di stress generata non da condotte illegittime «da parte degli operanti», bensì «dalle condizioni fisiche preesistenti del Ferrulli (note solo a lui) e dal suo successivo comportamento».