REDAZIONE MILANO

Don Mazzi e i nomi da prima pagina. Nel suo album anche Erika e Corona

Dopo il caso della coppia dell'acido le polemiche sul sarcedote: «Sempre a caccia di clamore mediatico» di Agnese Pini

Don Antonio Mazzi e la Fondazione Exodus

Milano, 22 agosto 2015 - L'ultimo gioco dell’estate è il «Dagli a Don Mazzi». Don Mazzi il divo, a caccia di soldi e di padrini. Cattolicesimo da salotto, il suo. Di lui si dice di tutto – l’ultima, Selvaggia Lucarelli: «Il prete si è trasformato in Barbara D’Urso» – e a chi lo difende si risponde: «Beh, se la va a cercare». Perché i detrattori lo aspettavano al varco, sicuri – e non sono stati smentiti – che il mediaticissimo «difensore degli ultimi» non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione di metter bocca nella grana agostana che offre i più succosi ingredienti delle dispute etiche: sesso, brutalità, perversioni, violenza, ferocia, condanna, perdono, maternità, amore. Non manca niente, nella storia della neo mamma galeotta Martina Levato, la ragazza dell’acido: Alexander Boettcher, suo compagno e complice, è stato declassato al grado di pallido comprimario, perfino il fisico sgonfiato e imbolsito dal carcere. Don Mazzi entra nell’arena della giuria nazional popolare che trincia sentenze su chi come dove e perché dovrebbe educare e allevare la creatura nata dall’amore delittuoso, il piccolo Achille. Ecco la sua, per sommi capi: «Martina è una buona madre, è stata plagiata, può redimersi, affidatela alla mia comunità», proprio mentre i giudici, in queste ore, l’hanno rispedita dall’ospedale in carcere.

Il punto è che la memoria è corta, ma a spulciare negli archivi viene fuori che don Mazzi è un habitué del genere, e se c’è vip finito in disgrazia, o disgraziato diventato vip, lui non si lascia sfuggire l’occasione. Lo fece già secoli fa con il terrorista Marco Donat Cattin (in quell’occasione perfino Montanelli si stracciò le vesti), e poi: le tre amiche del cuore che a Chiavenna ammazzarono a freddo suor Maria Laura Mainetti; Erika di Novi Ligure, i recentissimi Lele Mora, Fabrizio Corona, il fonico dei Modà Paolo Bovi. Tutti chiamati nelle sue comunità di recupero: Exodus la più famosa, nata a Milano alla metà degli ’80 per i tossicodipendenti, a cui oggi si affiancano centri d’ascolto e di assistenza in Italia, Brasile e Ucraina. Quaranta strutture in tutto, da cui finora sono passate oltre 50mila persone. Liste d’attesa lunghissime – «ed entrare nei suoi centri, per chi non è famoso, è tutt’altro che semplice», dicono ancora i detrattori – per quanto oggi il fenomeno della tossicodipendenza sia ben diverso da quando don Mazzi fondò la sua prima base. Dei 438mila tossici in Italia più della metà non si cura, mentre affrontare la dipendenza richiede metodi e approcci sempre in via d’aggiormanto.

Luci e ombre: è il destino di preti, e laici, che prima e dopo don Mazzi si sono avvicendati nel «recupero del prossimo sfortunato» – da Vincenzo Muccioli al riparo dei Moratti a don Pierino Gelmini al riparo di Berlusconi – affiancando alla carità la mediaticità, al cristianesimo la politica, all’altruismo la necessità di soldi. Senza soldi, del resto, non c’è carità possibile. Proprio in quanto a soldi, gli anni 2000 non sono stati generosi con don Mazzi e i suoi. Restò celebre una sua uscita del 2012: «Ora basta finanziare cani e gatti». Si sfogò: «Abbiamo debiti per 2 milioni perché i servizi pubblici non ci pagano dal 2004. Sopravviviamo con i finanziamenti privati. Mandare avanti la baracca costa 450 mila euro al mese. Lo Stato dov’è?». Viene allora da pensare che un po’ di tv e di presenzialismo possano aiutare a «mandare avanti la baracca». E anche i vip finiti in disgrazia e disgraziati diventati vip. Don Mazzi dà un’altra versione (in un’intervista a Famiglia Cristiana per i suoi 80 anni, nel 2009): «Sono un perdonista. Ma qui il buonismo non c’entra. È che il perdono non ha sfumature: o perdoni o non perdoni». Ogni volta dalla parte di Caino. Eppure fra le anime del prete in maglioncino ci sono anche tanti Abele, che però non fanno notizia. «Ma la gente capisce, eccome. I raffinati intellettuali non sempre».