
Marco Petrus
Milano,23 maggio 2015 - «Io non dipingo i palazzi di Milano, ma la sua pelle e le sue ossa». Lo afferma l’artista Marco Petrus, autore di quelle tele in cui ritrae scorci, fermi immagine delle strutture delle diverse città del mondo e che ha immortalato tante volte in particolare la geografia architettonica del capoluogo lombardo.
Chiariamo subito che lei non è un discendente dell’inventore del famoso amaro dalla proprietà digestive. Allora quali sono le sue origini? «Sono nato a Rimini, le mie radici, però, sono friulane e ucraine. Un mio avo, Pietro Rizzolatti, si trasferì nell’800 in Russia dove trovò lavoro nelle cave di marmo. Una sua discendente, che poi era mia nonna, Lidia Rizzolatti sposò mio nonno, l’ucraino Alessandro Petrus, dalla cui unione nacque mio padre Vitale. Nel 1938 in seguito ad alcune leggi staliniane, mia nonna si trasferì con suo figlio e gli altri parenti italiani a Udine. Da quel momento, non ho mai capito bene i motivi, interruppe qualsiasi contatto con mio nonno che rimase in Ucraina».
Anche suo padre era pittore? «Sì, si diplomò all’Accademia di Venezia con Bruno Saetti. Lì conobbe mia madre, Giuliana Zoli che era di Rimini. Quando mi aspettava, tornò nella sua città natale per farmi nascere. Poi nel 1963 ci trasferimmo a Sesto San Giovanni, nel cosiddetto Quartiere della Botteghe, un comprensorio destinato ad ospitare gli artisti, costruito dall’imprenditore edile e collezionista Felice Valadè. Con noi c’erano, tra gli altri, i pittori Enrico Castellani, Attilio Forgioli, Turi Simeti e Lino Marzulli. Nel 1969, avevo nove anni, quando ci trasferimmo a Milano, in via Solferino».
Primi ricordi architettonici? «Proprio in quegli anni era in costruzione la famosa “Casa rossa” di piazza San Marco progettata da Vico Magistretti con la scala mobile esterna. Poi per me cominciò un periodo turbolento. Cambiai per tre volte le scuole superiori. Alla fine mollai e andai a bottega in una stamperia d’arte. Venivano tanti artisti da Luciano Minguzzi a Bruno Cassinari. Dopo il lavoro frequentavo una scuola per assistenti grafici all’Umanitaria. Poi passai in un laboratorio di litografia, ma era troppo stressante. Decisi di lasciare».
E che fece? «Il classico viaggio di formazione. Usai la liquidazione per pagarmi due mesi in Sudamerica per fare reportage fotografici. I miei erano contrari. Al ritorno mi iscrissi ad Architettura ma mio padre morì a soli 50 anni. E così dovetti tornare al lavoro».
Si dedicò del tutto all’arte? «Sì, aprii una stamperia d’arte ma cominciai a fare incisioni. I primi stimoli a produrre me le diedero le mie passeggiate notturne per Milano. La sera vedevo i mie amici al bar Pois delle Colonne di San Lorenzo e poi facevo la strada a piedi per tornare a casa. Qualche volta allungavo anche il percorso per scoprire nuovi scorci. Durante quelle scarpinate introitai la struttura di Milano. La feci talmente mia che sentii l’impulso di riprodurla. Feci la mia prima mostra nel 1991 alla Galleria Noa sui Navigli».
E così comincia le serie dedicate al paesaggio urbano milanese. La sua è una Milano vista dal basso verso l’alto, inaspettata, sorprendente. E soprattutto sottrae la città al caos cittadino. Perché? «E’ come se dipingessi quello che vedo dalla finestra. Ripercorro Milano con lo sguardo per coglierne i dettagli che la fanno emblema dell’idea di città, di quello slancio in avanti, di quell’alternarsi di piani orizzontali e verticali, del susseguirsi di finestre, di quella monumentalità dalle geometrie perfette che è alla base della modernità e di cui Milano è simbolo».
La via milanese che preferisce? «Viale Tunisia. Mi ricorda New York, per i palazzi che trovo uno più bello dell’altro, dagli anni ’30 in poi. E’ tutto l’insieme tra quegli edifici e la strada che costituisce un’opera d’arte. In generale l’architettura milanese dei vari Muzio, Terragni, Ponti, conteneva una spinta tutta tesa al futuro sviluppata con il rigore di una progettualità pura, solida e razionale. ».
Insomma per lei Milano è? «La palestra dove ho coltivato e allenato la mia pittura».
di Massimiliano Chiavarone mchiavarone@yahoo.it