MARIO CONSANI
Cronaca

Marco Cappato e i requisiti per l’"aiuto al suicidio". Diciotto medici per capire se poteva farlo

Nell’ultimo anno l’esponente radicale ha condotto in Svizzera la 69enne Elena e l’82enne Romano. Maxi-consulenza della Procura sulle condizioni fissate dalla Corte costituzionale con il caso del dj Fabo

Marco Cappato con le firme per le leggi regionali che garantiscano il suicidio assistito

Marco Cappato con le firme per le leggi regionali che garantiscano il suicidio assistito

Milano, 18 agosto 2023 –  Diciotto medici per capire se si è trattato di aiuto al suicidio “regolare“ oppure no.

In procura devono accertare se le due persone che il radicale Marco Cappato nell’ultimo anno in tempi diversi ha accompagnato in Svizzera a morire, erano nelle condizioni previste dalla Corte costituzionale per ricevere il suo aiuto o se la sua condotta non sia andata contro quelle regole.

La questione giuridica è complicata ma decisiva. I giudici che a suo tempo assolsero Cappato per l’aiuto prestato al suicidio di Fabiano Antoniani (dj Fabo), poterono farlo perché - aveva stabilito la Consulta - Antoniani era affetto da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili; era tenuto in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale ma restava capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Condizioni tutte esistenti - nessuna esclusa - anche nel caso di Elena, 69enne veneziana affetta da cancro allo stadio terminale e in quello di Romano, 82enne malato gravemente di Parkinson?

Almeno in apparenza , in entrambi questi casi sembrava mancare quel requisito dell’"essere tenuto in vita grazie a trattamenti di sostegno vitale". Insomma: nessuno dei due pazienti era attaccato a una macchina come dj Fabo dopo il terribile incidente in auto. E proprio su questo aspetto, allora, il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, che coordina le indagini su Cappato, ha chiesto aiuto a un consulente tecnico il quale, a sua volta, ha raccolto il parere di ben 18 medici esperti in ogni diversa branca della medicina. In parole povere: pur se Elena e Romano respiravano senza aiuti meccanici, è possibile considerare la loro condizione analoga a quella di Antoniani anche nel requisito del "trattamento di sostegno vitale"?

Se la risposta degli esperti sarà sì, allora il pm Siciliano potrebbe chiedere l’archiviazione delle indagini contro Cappato, ritenendo che le condizioni per la non punibilità dell’aiuto prestato dall’esponente radicale ai suicidi di Elena e Romano in Svizzera ci siano tutte. Se invece il parere dei tecnici fosse opposto, allora per il tesoriere dell’associazione Luca Coscioni potrebbe aprirsi un nuovo processo davanti alla Corte d’assise di Milano con il rischio di condanna per un reato che il codice penale punisce con la reclusione fino a dodici anni.

Ma c’è anche una terza possibilità. Come avvenne per la vicenda Antoniani, è possibile che quando un giudice si troverà a doversi pronunciare preferisca investire della questione ancora una volta la Corte costituzionale. E a quel punto potrebbe essere di nuovo la Consulta, in assenza di un intervento da parte del Parlamento, a dover pronunciare un’altra parola decisiva sulla questione del “fine vita“. E chissà se in quel consesso di giudici, molto diverso come composizione da quello che si espresse la prima volta sul caso dj Fabo, le conclusioni sarebbero in linea con il precedente oppure no.

Questioni complesse e ricche di variabili, insomma. Sullo sfondo, però, restano le storie di vita delle persone malate che si rivolgono a Cappato per sollecitare il suo aiuto in direzione svizzera. Elena, affetta da una importante patologia oncologica polmonare irreversibile con metastasi, morì giusto un anno fa. Nel suo ultimo messaggio dalla clinica elvetica disse: "Avrei sicuramente preferito finire la mia vita nel mio letto, nella mia casa, tenendo la mano di mia figlia e la mano di mio marito. Purtroppo questo non è stato possibile". Romano, di origini toscane ma residente nell’hinterland milanese, era malato dal 2020 di una grave forma di Parkinson che lo aveva paralizzato completamente e lo avrebbe costretto di lì a poco all’alimentazione forzata. Scelse di morire lo scorso novembre e fu sua moglie a spiegare in un messaggio che quello era il modo che lui aveva liberamente scelto "per porre fine alla sue sofferenze.".