Design Week Milano, la rivoluzione di Mara Bragagnolo: “Disegno mobili per i bambini con autismo”

Dal suo vissuto e dal suo estro librerie e scrivanie con nicchie per appartarsi senza isolarsi, colori chiari per un effetto calmante e paraluce: l’intervista durante l’evento nel grande terrazzo del Giorno

Mara Bragagnolo

Mara Bragagnolo

Milano – I suoi mobili sono progettati con un’attenzione particolare: l’attenzione per le bambine e i bambini nello spettro autistico. Non un punto di partenza, questo, per Mara Bragagnolo, ma un’ulteriore tappa di un percorso umano e professionale che ha sempre avuto una direzione precisa: "Ho sempre avuto presente il tema e la necessità dell’inclusività". Trent’anni, nata a Genova, interior designer e art director, Bragagnolo ha esposto e sta esponendo i suoi mobili inclusivi al Superstudio.

Bragnagnolo, quali sono i dettagli e gli elementi che rendono un mobile amico dei bambini nello spettro autistico?

"L’elemento chiave è quello della nicchia, da qui il titolo della collezione: Nook. Le mie librerie e le mie scrivanie hanno un angolo in cui il bambino può stare, può nascondersi, quando vuole ritrovare la sua privacy e risintonizzarsi su se stesso. Questo spazio ha sempre una finestra o un pertugio che gli consentono di mantenere il contatto con l’ambiente esterno, in modo che non corra il rischio di isolarsi del tutto. Un altro elemento per i bambini nello spettro autistico è la luce: quando è eccessiva può dare fastidio così ho ideato non un paravento ma un paraluce. Oppure le sedie: spesso il dondolio piace, quindi progetto sedie che consentano ai bimbi di dondolare in sicurezza".

Le sue creazioni sono rivolte a bambini di che età?

"Indicativamente per bambini tra i 2 e i 6 anni di età, anche se in alcuni casi si può sforare fino ai 7 e agli 8 anni. E sono pensate soprattutto per arredare luoghi pubblici rivolti all’infanzia, quindi scuole, biblioteche, spazi dedicati ai minori nei centri delle associazioni".

Come è nata questa sua attenzione alle neurodivergenze?

"Io ho sempre avuto presente il tema dell’inclusività nel mio lavoro perché anche io sono neurodivergente. Ho iniziato facendo attenzione alla scelta dei dettagli con i quali caratterizzavo gli spazi di comunità che mi venivano affidati. Esempio concreto: nel progettare uno skatepark ho utilizzato volutamente colori chiari, tenui, colori pastello perché sono colori capaci di avere un effetto calmante su chiunque e in particolare sulle persone nello spettro autistico. Un’ulteriore svolta è arrivata con la scelta di frequentare un corso di architettura inclusiva a Bologna. Nell’ambito di questo corso ho avuto l’occasione di partecipare ad un progetto in collaborazione con Dynamo Camp e da qui è maturato il progetto della collezione Nook che realizza un’idea precisa: sono i mobili a doversi adattare alle persone e non viceversa. Questi mobili finiscono col favorire tutti, con l’essere davvero per chiunque o, detto altrimenti, che non abbiano barriere per nessuno. Tengo a sottolineare che ho come riferimenti le linee guida Montessori, il lavoro di Magda Mostafa, architetta egiziana che da anni progetta ambienti per persone nello spettro autistico e, infine, è stato ed è prezioso il confronto con le persone neurodivergenti".

Quello tra design e diversità è un incontro che deve essere ulteriormente incoraggiato.

"Le diversità sono tante, le disabilità sono tante, e riguardano sia bambini che anziani. Ci sono bellissime diversità che, anzi, rendono più interessanti i progetti. L’attenzione alle diversità deve essere alla base della progettazione di spazi, luoghi, mobili e arredi. Ci vogliono più designer attenti alla disabilità, più designer che dialoghino con le persone che vivono la disabilità e che possano progettare tenendo presente un motto caro al mondo della disabilità: “nulla su di noi senza di noi“".

La sua collezione finora ha raccolto l’interesse che sperava?

"Sì. Quando ho presentato il progetto c’è stato molto interesse. Affronto un tema del quale non si parla abbastanza e sul quale ci sono ancora degli stigma. Bisogna liberarsene".

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